DA UN ACCORDO A UN ALTRO

La storia (assurda) di come la Russia ha venduto l'Alaska agli Stati Uniti

Il vertice di Ferragosto fra Trump e Putin avviene in un luogo simbolo, ceduto nell'Ottocento attraverso trattative non tanto dissimili. Non fu semplice e le tensioni di lungo corso arrivano fino a oggi. E ci aiutano a capire meglio il rapporto tra Mosca e Washington

di Maurizio Perriello
15 Ago 2025 - 15:02
 © Dal Web

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Esiste un dolce buonissimo che si dice essere nato negli Stati Uniti per celebrare l'acquisizione dell'Alaska. Si chiama, non a caso, "baked Alaska", anche se dalle nostre parti è più conosciuto col nome di omelette norvegese. Fantastoria o meno, la circostanza ci ricorda che gli Usa ottennero il loro territorio di frontiera nord-occidentale non tramite una conquista militare, ma attraverso una compravendita vera e propria, con tanto di contratto e di assegno. Washington acquistò infatti l'Alaska dalla Russia, che l'aveva esplorata e occupata più di un secolo prima, quando i coloni statunitensi erano sudditi del re inglese e ancora lontani dal formare una nazione. Da un negoziato all'altro, dal 1867 al 2025, invece dei due ministri russo e americano che concordarono il cosiddetto "Alaska Purchase", oggi al tavolo dei colloqui troviamo i due presidenti - Donald Trump e Vladimir Putin - impegnati in tutt'altro genere di trattative.

Il simbolismo del luogo del bilaterale, al di là della sua effettiva utilità per la fine della guerra in Ucraina, ci riporta a un passato in cui i conflitti armati tra nazioni erano accettati come inevitabili. Ma anche un passato in cui era possibile comprare e vendere un pezzo del proprio Stato e un altro Stato. Con buona pace di chi ci vive e creando un altro ponte di confronto con i nostri giorni, in cui si ragiona di cedere pezzi di nazioni come fossero questioni astratte. E invece segnano per sempre la vita di milioni di persone.

Come e perché i russi possedevano l’Alaska

 L'esplorazione russa del Pacifico settentrionale, compresa l'Alaska, iniziò a metà Seicento. Nel 1741 l'esploratore danese Vitus Bering, al servizio della Russia, raggiunse la terraferma nordamericana, per questo in seguito fu dato il suo nome allo Stretto che divide i due continenti. Nel 1799 lo zar fondò la Compagnia Russo-Americana e le concesse il completo controllo politico ed economico sull'area. La società conservò per 68 anni il monopolio delle pellicce di orso, bisonte e caribù e granadissimi interessi nella ricerca dell'oro. La società all'inizio fiorì e stabilì un avamposto commerciale a Fort Ross, appena a nord di San Francisco. Altri tempi.  Non c'erano però solo russi e americani ad accampare diritti sull'Alaska. Nell'area erano presenti anche gli inglesi, coi quali fu firmato un trattato separato nel 1824. Durante quel periodo, erano stanziati in Alaska meno di mille russi, la maggior parte della forza lavoro era composta da nativi e creoli. All'inizio gli affari e la comunicazione con Mosca erano floridi, ma le guerre di metà secolo e le tensioni nell'area complicarono le cose.

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Perché la Russia ha deciso di vendere l'Alaska agli Usa

 Vendendo il proprio avamposto nordamericano Mosca non aveva nulla da temere all'epoca, in quanto gli Stati Uniti non rappresentavano una potenza capace di proiettarsi all'esterno del proprio continente. Non erano una minaccia contro la quale aumentare la profondità difensiva. I pericoli in questo senso la Russia li stava affrontando all'altro capo del suo immenso territorio, sul versante europeo. Neanche dieci anni prima della vendita dell'Alaska, Mosca aveva perso la guerra di Crimea e stava lottando con tutte le forze per mantenere salda la propria cerniera eurasiatica. Cerniera che ancora oggi passa dal Caucaso e dall'Ucraina, ricordandoci che la strategia difensiva del Cremlino resta la stessa anche nel Nuovo Millennio. Come in un'azienda, bisognava tagliare i costi superflui. Risorse e soldati servivano altrove. In più, in Alaska era diventata un problema per Mosca. Nello stesso periodo l'impero russo abolì la servitù della gleba e si diffuse la convinzione che i nativi dell'Alaska fossero maltrattati attraverso lavori forzati. La Compagnia Russo-Americana fu accusata di aver violato i diritti civili dei lavoratori russi, proibendo loro l'importazione di bevande alcoliche e la vendita di armi ai nativi. Lo statuto della società imperiale sarebbe scaduto nel 1862 e la controversia complicò la tenuta della colonia nordamericana. Era meglio cedere l'Alaska agli Stati Uniti a condizioni reciprocamente accettabili piuttosto che cercare di difenderla dall'occupazione da parte della Gran Bretagna o dall'invasione di commercianti e balenieri americani.

Per quanti soldi la Russia ha ceduto l'Alaska agli Stati Uniti

 Il prezzo dell'Alaska fu stabilito in 7,2 milioni di dollari, al costo di quasi 4 centesimi a ettaro. Il trattato fu firmato il 30 marzo 1867. I negoziati furono condotti da due funzionari molto famosi: per gli Usa il Segretario di Stato William H. Seward, per la Russia il capo diplomatico Eduard de Stoeckl. Il primo offriva 5 milioni di dollari, il secondo ne chiedeva 10. Si accordarono a metà strada, per 7 milioni più 200mila dollari a condizione però che "la cessione fosse libera e non gravata da riserve, privilegi, franchigie o possedimenti da parte di società affiliate russe". Passarono molti anni prima che "il dono di Seward" alla nazione, come viene chiamato nella storiografia americana, venisse riconosciuto. L'acquisto dell'Alaska permise a Washington di diventare una potenza non solo sul Pacifico, ma anche sull'Atlantico. Prima di chiunque altro, Seward comprese l'importanza della rotta artica, destinata a guidare i destini delle due potenze anche nel prossimo futuro.

“What a deal!", un accordo alla Trump

 In Alaska Trump cerca un accordo che negli Usa definiscono "real estate", cioè "immobiliare", nel senso che vuole trattare con Putin più come uomo d'affari che può offrire e ottenere qualcosa, più che come presidente di una potenza. Ironia della storia, l'accordo che portò l'Alaska sotto la bandiera americana fu proprio di questo tipo. Nell'Ottocento la Russia aveva offerto più volte la vendita del suo territorio nordamericano agli Stati Uniti, ma lo scoppio della Guerra Civile americana nel 1861 portò al rinvio delle trattative. Nel dicembre 1866, un anno dopo la conclusione della guerra, il russo Stoeckl ricevette l'incarico dallo zar Alessandro II di avviare i negoziati per la vendita. I costi e le difficoltà logistiche di approvvigionamento del territorio lo avevano reso un peso economico e sociale per i russi.

La cerimonia per la vendita dell'Alaska non andò benissimo

 Ovviamente non tutti erano d'accordo. "La Russia ci ha venduto un'arancia succhiata", titolò il quotidiano New York World (oggi estinto) dando voce alla maggior parte dei cittadini statunitensi. Il presidente Andrew Johnson firmò il trattato il 28 maggio 1867, e il 18 ottobre successivo 150 soldati russi con berretti piatti e uniformi scure bordate di rosso si radunarono sul parapetto di fronte alla casa del governatore di Sitka, luogo simbolo dell'accordo. Duecento soldati americani marciarono su per la collina. Dopo il battito di stivali e tamburi, scese un silenzio spettrale. La cerimonia prese una piega drammatica. Alle 15:30, il principe Maksutov e il generale Rousseau, rispettivamente governatore russo e rappresentante degli Stati Uniti, presero posizione vicino alla bandiera. Quella russa sarebbe dovuta andare giù per lasciare il posto a quella americana. In molti videro un segno del destino ciò che successe subito dopo. L'effigie con l'aquila imperiale russa si impigliò nel pennone, quasi volesse aggrapparsi all'Alaska coi suoi artigli. Dopo qualche strattone, nell'imbarazzo generale, venne giù, ma finì sulle punte delle baionette russe. Fu infilzata, provocando (si dice) lo svenimento della moglie del principe Maksutov. Il figlio del generale Rousseau non si perse d'animo e issò la bandiera americana. Da quel preciso momento la storia dell'Alaska cambiò rotta.

Cosa è successo dopo

 L'Alaska rimase sotto il controllo dell'esercito statunitense fino al giugno 1877, dopodiché fu governata per un breve periodo dal Dipartimento del Tesoro e poi da diverse autorità militari. A testimonianza della pluralità dei poteri e degli apparati che ancora oggi determinano la politica interna ed estera degli Usa. La maggior parte dei russi che si trovavano ancora in Alaska non erano residenti permanenti ed tornarono in patria dopo la vendita. A coloro che rimasero fu data la possibilità di richiedere la cittadinanza statunitense entro tre anni. Nel maggio 1884 il territorio divenne un distretto. L'Alaska fu tuttavia accettata nell'Unione come 49° Stato molto tempo dopo, il 3 gennaio 1959.

(Anche) l'Alaska ha aumentato le tensioni fra Mosca e Washington

 In una conferenza-spettacolo del 2014, anno di annessione russa della Crimea, Vladimir Putin si è sentito ripetere una domanda che ciclicamente ritorna. "Signor presidente, l'ascoltatrice Tatyana Ivanova le chiede quando ci riprenderemo l'Alaska". La risposta del capo del Cremlino è giunta con un sorriso sornione: "Cara Tatyana, cosa se ne farebbe dell'Alaska?". Al di là della consueta calma ostentata da Putin, la domanda si inserisce nella scia di una sorta di irredentismo che negli ultimi decenni è cresciuto in Russia, in parallelo con l'avversione all'ordine occidentale guidato dagli americani. Una parte di questo movimento vorrebbe riprendersi tutti i territori "persi" tra Ottocento e Novecento, incluse Alaska e Ucraina per l'appunto. Un altro esempio risale al 1993, quando il provocatorio nazionalista russo Vladimir Zhirinovsky annunciò di voler riconquistare le terre americano oltre lo Stretto di Bering. Negli Usa la cosa fu oggetto di scherno: il vignettista Jim Borgman del Cincinnati Inquirer disegnò un preoccupatissimo presidente Bill Clinton che chiedeva agli archivi nazionali di trovare la ricevuta per l'acquisto dell'Alaska. Anche dopo il 2000, dall'altro lato della barricata, molti funzionari russi hanno affermato che l'Alaska sarebbe stata in realtà "affittata" dal governo statunitense solo per cento anni, ma i documenti storici dell'acquisto sono innegabili. Da un certo punto di vista, vendendo l'Alaska la Russia ha eliminato il motivo di un potenziale conflitto, poiché in quella terra si scontravano l'espansione russa verso est, attraverso la Siberia e il Nord America, e l'espansione verso ovest degli Stati Uniti. Il resto, come si dice, è storia nota.

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