Conosci te stesso

Egosurfing, ovvero cercare se stessi sul Web

Una pratica diventata comune che va oltre la curiosità, ma contribuisce alla costruzione dell’immagine di sé

08 Mag 2025 - 05:00
 © Istockphoto

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Navigare nel Web in cerca di stessi: non è una pratica filosofica, ma il semplice atto di inserire il proprio nome su un motore di ricerca e controllare che cosa restituisce l’indagine. Alzi la mano chi non lo fa, almeno ogni tanto, per scoprire che cosa si dice di noi nella Rete, che si tratti di siti, social network, notizie o fotografie. L'egosurfing è una consuetudine che va ben oltre la semplice curiosità, ma di un mezzo per sapere quale immagine digitale di noi viene trasmessa al mondo esterno attraverso i media online. Non si tratta però di semplice tecno-narcisismo, ma è anche un modo per prenderci cura della nostra reputazione online. Tutti dovrebbero farlo almeno ogni tanto in modo preventivo, per sapere cosa viene detto su di noi, da chi e a quale scopo, correndo magari ai ripari se scopriamo qualcosa che non va.

CHE COS’È L’EGOSURFING - Il termine, che deriva dall'inglese to surf = navigare e dal greco ego = io, è stato coniato da Sean Carton nel 1995: è apparso per la prima volta su una pubblicazione cartacea nel marzo 1995 sulla rivista Wired ed è entrato nell'Oxford English Dictionary nel 1998, con il diffondersi delle tecnologie legate a Internet. È una consuetudine che va ben oltre la semplice curiosità, ma che costituisce un importante mezzo per monitorare l’immagine di noi stessi che viene trasmessa al mondo esterno attraverso i media online: si tratta insomma di un modo per essere consapevoli della nostra reputazione digitale e per vedere attraverso quali specchi i media riflettono la nostra immagine. Tutti noi dovremmo farlo, almeno ogni tanto, in modo preventivo, per sapere cosa si dice su di noi, per valutare l'importanza del nostro nome o pseudonimo, e del nostro sito web o blog. Non ultimo, l’egosurfing è un ottimo mezzo per scoprire gli eventuali casi di furto di identità.

A CHE COSA SERVE L’EGOSURFING - Secondo uno studio del "Pew Internet & American Life Project", un progetto di ricerca non profit del Pew Research Center che studia l'impatto di Internet sulla società americana, l'egosurfing viene praticato per una varietà di motivi. Circa il 47% degli utenti Internet americani adulti ha effettuato una ricerca del proprio nome su Google o un altro motore di ricerca per ragioni di vanità o di puro intrattenimento, ad esempio per trovare celebrità con lo stesso nome o con le quali si condivide il compleanno. Ci sono però anche persone praticano l'egosurfing per ragioni legate alla propria attività professionale, ad esempio come mezzo per gestire la propria reputazione online, oppure per scoprire eventuali fughe di dati o di informazioni che non si vogliono rendere pubbliche. Un'altra ragione per si cerca il proprio nome sul Web è controllare, ed eventualmente nascondere, immagini o informazioni personali a potenziali datori di lavoro, clienti, ladri di identità e simili. Allo stesso modo, l'egosurfing è uno strumento per mantenere un'immagine pubblica positiva e per fare autopromozione.

GLI ASPETTI SOCIOLOGICI - L'egosurfing è un segnale che riflette i cambiamenti nei modelli di socializzazione che caratterizzano la nostra società contemporanea: in epoca digitale, la nostra immagine personale si costruisce infatti non solo nei rapporti personali e nelle relazioni face-to-face, ma anche in quelle virtuali, mediate i contenuti presenti sulle piattaforme come Facebook, Instagram, Tik Tok e LinkedIn. Questi luoghi virtuali non sono solo luoghi di socializzazione, ma dei veri e propri palcoscenici in cui ci si presenta e ci si mette in mostra, attraverso post, foto e contenuti di ogni genere. Lo scopo è quello di essere visibili e ottenere consenso attraverso i like, il numero dei follower e altri segnali del genere. In una società di questo tipo, in cui il valore di un individuo è legato alla sua capacità di mostrarsi agli altri, l'egosurfing è uno strumento di auto-consapevolezza di importanza determinante. 

I LAVI POSITIVI E QUELLI NEGATIVI DELL’EGOSURFING – Inserire periodicamente il proprio nome in un motore di ricerca può essere una consuetudine utile perché permette di verificare la nostra impronta digitale e l’immagine che lasciamo di noi in Rete, a cominciare dai nostri gusti e preferenze, i luoghi che visitiamo, perfino le nostre debolezze. Conoscendo la nostra immagine digitale, possiamo anche intervenire su di essa e modificarla, se ci appare necessario, anche in ottica di self-marketing e di auto empowerment. L'egosurfing è anche uno strumento utile per scoprire se qualcuno si sta spacciando per noi, nel malaugurato caso in cui dovessimo essere vittime di un furto di identità, e adottare le contromisure necessarie.  Il monitoraggio continuo della propria immagine digitale, però, può trasformarsi in una fonte di ansia e di preoccupazione eccessiva, e generare una percezione distorta e negativa delle informazioni trovate. Inoltre, un ricorso troppo frequente alla ricerca di sé nel mondo digitale può generare tecnostress e tante paure specifiche, dalla FOMO  al timore di non essere abbastanza visibili o “rilevanti” a sufficienza: da questo timore può conseguire una sorta di esibizionismo digitale esasperato e una condivisione eccessiva di dettagli personali, alimentato dalla continua ricerca di approvazione e dal timore di essere ignorati. Se il confronto con la propria immagine digitale diventa troppo assiduo, può causare lo sviluppo di un senso di insoddisfazione nei confronti della nostra immagine digitale e quindi di noi stessi, fino a generare una vera e propria dipendenza, con effetti negativi sulla salute mentale. 

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