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Quirinale, per Renzi ore decisive: la battaglia politica su due fronti

In vista del voto di giovedì il presidente del Consiglio deve tenere a bada le divisioni allʼinterno del Pd da un lato, e contrastare gli attacchi di Grillo e del fronte anti-Nazareno dallʼaltro

matteo renzi
ansa

Saranno ore decisive, le prossime, per il premier e segretario del Pd Matteo Renzi: in vista del voto per il presidente della Repubblica, infatti, il presidente del Consiglio deve combattere su più fronti. Da un lato, all'interno del proprio partito, per tenere a bada le tensioni tutt'altro che sopite; dall'altro, all'esterno, dagli attacchi di Beppe Grillo, che annuncia giorni di fuoco, e del fronte anti-Nazareno, calamita per i franchi tiratori.

Renzi ha ormai pochi giorni per preparare il terreno. Anche per questo l'incontro di lunedì con i suoi parlamentari servirà al premier per tirare le somme prima di vedere tutti gli altri partiti (ad esclusione dei 5S) e prima dell'assemblea dei grandi elettori di giovedì.

Le incognite sono tante, ma Renzi (forte anche di una settimana che, dal Wef di Davos al bilaterale con Angela Merkel, lo ha visto imporsi nelle cronache internazionali) è più che mai determinato ad andare avanti. "Il futuro è oggi", e il Paese non può essere frenato dalle divisioni, ha spiegato alla platea di Davos; il medesimo concetto sarà probabilmente ripetuto anche ai senatori e deputati Pd nelle riunioni di lunedì.

Martedì, invece, le porte del Nazareno si apriranno ufficialmente per Silvio Berlusconi e tutte le altre forze, da Area Popolare a Sel, dalla Lega agli altri partiti minori. Tutti tranne i grillini, che si tengono ben distanti e bocciano la trattativa.

E sebbene Renzi scoprirà le proprie carte solo giovedì per non "bruciare" il suo candidato, in queste ore circola un nome più forte di altri, quello di Walter Veltroni. Il rischio di una spaccatura all'interno del Pd è forte, ma sul nome del fondatore del Partito Democratico già si sa che potrebbe accendersi il semaforo verde di Forza Italia e degli Area Popolare.

Lo stesso Angelino Alfano, dopo aver avanzato nei giorni scorsi insieme a Berlusconi i nomi di Giuliano Amato e Pierferdinando Casini, ha ammesso che sarebbe un atto di presunzione e di arroganza non dare al Pd, partito di maggioranza relativa con 460 grandi elettori, il diritto di avanzare un suo nome, purché condiviso.

Il problema per Renzi resta però quello di ottenere la garanzia che il Pd non si dividerà, a maggior ragione se la carta da mettere sul tavolo è quella del fondatore del Partito Democratico. Si continua però a parlare però anche di Anna Finocchiaro, Graziano Delrio, Paolo Gentiloni e spunta il nome di Francesco Rutelli. E c'è chi dà ancora in pista il ministro Padoan. Tutte ipotesi che potrebbero essere spinte in alto dalle divisioni sul nome dell'ex segretario Pd.

In tutto ciò, c'è anche un problema di credibilità per il partito del premier: avere l'intesa fin dalla prima votazione (realizzata solo due volte nella storia repubblicana, con Cossiga e Ciampi, in tempi di emergenza democratica per il Paese) è quasi impossibile, anche perché servono 672 voti. Ma non chiudere al quarto voto, quello dove la maggioranza richiesta si abbassa a 505 grandi elettori (una cinquantina in più di quelli che il Pd, sulla carta, ha da solo) sarebbe un colpo d'immagine durissimo per il Pd e per lo stesso Renzi. Perché sarebbe la dimostrazione che il partito è spaccato e incapace di unirsi su un suo candidato, come già successo nel 2013 quando 101 franchi tiratori Pd affossarono Romano Prodi un attimo dopo averlo acclamato.