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Neet: l'Italia perde 1,4 punti di Pil

Il nostro paese aveva il primato nellʼUe già nel 2007, ma negli anni della crisi è cresciuta ulteriormente la quota di Neet

Il problema dei giovani che non lavorano, né studiano, né frequentano corsi di formazione (i Neet) è una piaga non solo italiana, ma è in Italia che si mostra in maniera più evidente.

E rappresenta una perdita – in termini di Pil e di capitale umano – non indifferente, soprattutto se contestualizzato in un quadro socioeconomico che ancora mette in risalto più di qualche lacuna.

L'ultimo “allarme” sul tema è dell'Ocse, ormai quasi rituale: i Neet formano un vasto esercito – arrivato a 40 milioni nel 2015 –, ripartito tra i paesi aderenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Un numero che equivale al 15% della popolazione sotto i 30 anni.

Per quanto riguarda il nostro paese c'è poco da stare sereni. Tra il 2007 e il 2014 la quota di Neet ha raggiunto il 27%, peggio di noi soltanto la Turchia. Ma non è tutto: perdiamo, a causa dei giovani inattivi, qualcosa come 1,4 punti percentuali di Pil. Anche in questo caso manteniamo il podio, certamente poco lusinghiero, alle spalle di Grecia (2%) e della solita Turchia (3%).

Rispetto al mercato del lavoro, tale situazione è senza dubbio un'aggravante. Perché, nonostante i lievi miglioramenti osservati negli ultimi tempi, la disoccupazione resta stabile all'11,4%, mentre quella giovanile si attesta al 38,8% (sebbene in calo dal precedente 39,2%, in entrambi i casi dati Ocse). Quel che è peggio è che l'Italia presenta un'elevata proporzione di persone anziane. L'invecchiamento provoca così un eccesso in spese pensionistiche, aumentando i costi sociali. In questo modo anche la forza lavoro invecchia, con ripercussioni su livelli occupazionali e produttività. Tutto a scapito della crescita economica.

Ma è il confronto europeo a destare maggiore preoccupazione. In questo senso può tornare utile una recente indagine – sempre su dati Ocse – del Centro Studi ImpresaLavoro. Da noi la disoccupazione giovanile è passata dal 21,4% del 2007 al 38,8% del 2015, vale a dire un aumento di 17,4 punti percentuali negli anni della crisi. Peggio di noi hanno fatto Grecia e Spagna in particolare, che al 2007 partiva da un valore leggermente inferiore. Ma il Portogallo, che nel 2007 aveva una disoccupazione giovanile al 23%, è riuscito a contenere l'avanzata, fermandosi – si fa per dire – al 31,5%.

Se osserviamo il trend relativo ai Neet, la situazione si fa drammatica. Già nel 2007 la quota era la più alta dell'Ue, ma al di sotto del 20%. Otto anni più tardi la percentuale saliva al 26,9%, confermando il triste primato. Grecia e Spagna sono rispettivamente al 24,7 e al 22,7%. La crescita ha però interessato l'intera Unione europea, considerata la media al 14,7% nel 2007 e al 16% nel 2015.

Per trovare invece un'inversione di tendenza bisogna ricercare nel Regno Unito (-1%, da 14,6 a 13,6%), Ungheria (dal 16,3 al 15,8%), Austria (ma qui la differenza è di pochi decimali) e soprattutto Germania, dove dal 12,3% del 2007 la quota è scesa all'8,8% dell'anno scorso. In Francia, al contrario, si è registrato un aumento di quattro punti circa, dal 12,8 al 17,1%.