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Stato-mafia, i giudici: "La trattativa accelerò la morte di Borsellino"

Le motivazioni della sentenza della Corte dʼassise di Palermo sono state depositate nel giorno della strage di via DʼAmelio

Stato-mafia, i giudici:
lapresse

L'invito al dialogo che i carabinieri fecero arrivare a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, dopo la strage di Capaci sarebbe l'elemento che indusse cosa nostra ad accelerare i tempi dell'eliminazione del giudice Paolo Borsellino.

Lo sostengono i giudici della Corte d'assise di Palermo nelle motivazioni della sentenza sulla trattativa Stato-mafia.

Provvedimento di oltre 5mila pagine - Il provvedimento di oltre 5mila pagine che ricostruisce i rapporti che pezzi dello Stato ebbero con cosa nostra è stato depositato in un giorno particolare: quello del 26esimo anniversario della strage costata la vita a Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Un capitolo importante del provvedimento della corte è dedicato proprio all'attentato di via D'Amelio la cui esecuzione, a parere dei giudici, sarebbe stata accelerata proprio dalla cosiddetta trattativa.

"La trattativa accelerò la strage di via D'Amelio" - "Ove non si volesse prevenire alla conclusione dell'accusa che Riina abbia deciso di uccidere Borsellino temendo la sua opposizione alla trattativa - scrive la corte -, conclusione che peraltro trova una qualche convergenza nel fatto che secondo quanto riferito dalla moglie, Agnese Piraino Leto, Borsellino, poco prima di morire, le aveva fatto cenno a contatti tra esponenti infedeli delle istituzioni e mafiosi, in ogni caso non c'è dubbio che quell'invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l'effetto dell'accelerazione dell'omicidio di Borsellino, con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato".

Accusa forte contro gli ufficiali del Ros - Un'accusa forte all'iniziativa degli ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, condannati a pene pensantissime per il reato di minaccia a Corpo politico dello Stato, e alla loro decisione di avviare un contatto con i boss corleonesi di Riina attraverso l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino. Duro il giudizio su una scelta definita dai giudici scellerata. "Subranni, Mori e De Donno, qualunque fossero le ragioni che li animarono, hanno di fatto consapevolmente reso attuale il proposito criminoso di Riina, da un lato aprendo il canale di comunicazione tramite Vito Ciancimino, e dall'altro esortando i vertici mafiosi a formulare le condizioni per la cessazione delle stragi e dunque a formulare la minaccia e il ricatto mafioso".

Dell'Utri avrebbe rafforzato il piano criminale di Riina - Marcello Dell'Utri, condannato a 12 anni, per minaccia a Corpo politico dello Stato, come i militari del Ros avrebbe rafforzato il piano criminale di Riina. E se pur non ci sono prove dirette "dell'inoltro di una minaccia mafiosa da Dell'Utri a Silvio Berlusconi ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell'Utri abbia riferito quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l'associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano".

Totalmente scagionato l'ex ministro Mancino: "Nessuna prova"  - Oltre 500 pagine del provvedimento sono dedicate al superteste e imputato del processo Massimo Ciancimino, condannato a 8 anni per avere calunniato l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro. La corte in qualche modo "giustifica" le contraddizioni nelle sue testimonianze come mosse dal desiderio di mostrarsi credibile. Mentre esce totalmente scagionato dalle accuse di falsa testimonianza l'ex ministro Dc Nicola Mancino che, per i pm, sarebbe stato messo al posto di Vincenzo Scotti al Viminale per la sua linea soft contro le cosche. "Non c'è alcuna prova", scrivono i giudici.