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25 Aprile, perché dire grazie anche alla Brigata ebraica

Sbagliato contestare gli eredi di chi ha contribuito alla Liberazione. Non bisogna dimenticare le storie di ebrei come Enzo Sereni che si batté contro il fascismo e il nazismo

25 Aprile, perché dire grazie anche alla Brigata ebraica - foto 1
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Enzo Sereni aveva 39 anni quando morì fucilato a Dachau nel novembre del 1944.

Era stato catturato dai tedeschi pochi mesi prima, a maggio, in Toscana, dove si era paracadutato per unirsi ai partigiani. Sereni apparteneva a una famiglia dell'alta borghesia romana (il padre era uno dei medici dei Savoia), era ebreo e socialista e fu uno dei primi sionisti italiani. Era arrivato nella allora Palestina nel 1927, dove aveva partecipato attivamente alla fondazione di un kibbutz, quello di Givat Brenner. Negli anni '30 e durante la guerra lavorò per salvare gli ebrei che si trovavano nei territori occupati dai nazisti cercando di portarli in salvo.

In quel maggio del 1944 era tornato in Italia, in prima linea, nella guerra di Liberazione contro i nazisti, pochi mesi prima che la Brigata ebraica entrasse in azione sull'Appennino tosco-romagnolo a fianco dei partigiani. Sereni è unanimamente riconosciuto come una vittima della Resistenza e come partigiano della Brigata Ebraica. Si è scritto efficacemente che voleva "liberare l'Italia sognando Israele".

25 Aprile, perché dire grazie anche alla Brigata ebraica - foto 2
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Quella di Sereni è una storia simbolo dalla quale emergono tutte le ragioni per cui la bandiera della Brigata Ebraica debba partecipare alle celebrazioni per la Liberazione. Il 25 Aprile è una ricorrenza di unione e non di divisione, dove chi vuole (e chi, in qualche modo, c'era), ha pieno diritto di scendere in piazza per ricordare. Mischiare quello che è successo più di settant'anni fa alla questione palestinese di oggi è sbagliato e pericoloso e rischia di mandare in corto circuito il significato pacifico della ricorrenza. In piazza non scende lo stato d'Israele, e manifestare a fianco della Brigata Ebraica non vuol dire scegliersi una parte nella questione mediorientale, anzi. Unirsi allo stendardo azzurro-bianco-azzurro con la stella di David vuol dire ricordare anche le vittime della Brigata (una quarantina) che, tra il marzo e l'aprile del 1945, combatterono contribuendo a sfondare la Linea Gotica. Quei morti sono seppelliti in territorio italiano a Piangipane, nel Ravennate.

Ai partigiani comunisti, socialisti, liberali, cattolici, anarchici, repubblicani e monarchici, ai soldati italiani e alle variegate truppe anglo-americane si unì anche quel gruppo di ebrei, che hanno diritto come gli altri di essere ricordati per il loro contributo alla libertà e alla pace. Quella pace necessaria da decenni anche in Medioriente alla quale pensava anche Enzo Sereni, che credeva profondamente nella convivenza con gli arabi e se fosse uscito vivo da Dachau sarebbe sicuramente tornato in Palestina per lavorare a questo grande obiettivo.