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Con Nutella, Tic Tac, Kinder Sorpresa ed Estathé la dinastia piemontese ha costruito un impero da oltre 18 miliardi rimanendo famiglia
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In un panorama industriale italiano spesso caratterizzato da cessioni al capitale straniero, Ferrero rappresenta un'eccezione virtuosa e l'emblema del capitalismo familiare. L'azienda di Alba non solo ha resistito alle sirene degli acquirenti internazionali mantenendo saldamente il controllo in mano alla famiglia fondatrice, ma ha rovesciato la prospettiva: è diventata essa stessa protagonista di acquisizioni miliardarie, mettendo le mani su marchi storici internazionali e consolidando la propria posizione tra i giganti mondiali del settore dolciario.
L'acquisizione di Kellogg per 3,1 miliardi di dollari rappresenta l'ennesimo capitolo di questa strategia espansiva che ha trasformato una piccola pasticceria piemontese in un predatore globale di brand iconici.
Con un fatturato di oltre 18 miliardi di euro nel 2024 e una presenza in più di 170 paesi, il gruppo rimane una società privata non quotata in borsa, caratteristica che le consente di mantenere una strategia di lungo periodo senza le pressioni del mercato azionario. Una scelta che riflette la filosofia della dinastia Ferrero: crescere mantenendo il controllo diretto del business e dei valori aziendali.
La storia inizia nel 1946 nella piccola pasticceria di Alba, quando Pietro Ferrero mette a punto la ricetta per la pasta gianduia, antesignana della Nutella. In una delle zone più povere dell'Italia post-bellica, il pasticciere piemontese ha un'intuizione geniale: creare un dolce alla portata di operai e bambini, troppo poveri per permettersi prelibatezze ricercate. La formula vincente nasce dalla necessità: utilizzare gli scarti di cacao e cioccolato svizzero mischiati alle nocciole locali della provincia di Cuneo per ottenere una pasta cremosa economica ma gustosa.
Alla morte di Pietro, nell'estate del 1949, il figlio Michele prende le redini dell'azienda giovanissimo, dopo gli studi in ragioneria. È lui a trasformare una piccola bottega locale in un impero globale, sempre lontano dagli stereotipi dei milionari e preferendo il lavoro ai riflettori. "Se non saremo qualcuno in Europa, non saremo niente neanche in Italia", diceva nei lontani anni Cinquanta, quando l'azienda sbarcò in Germania, ad Allendorf.
In una mattina fredda e piovosa del 20 aprile 1964, esce dalla fabbrica di Alba il primo vasetto di Nutella. Michele Ferrero migliora e ribattezza la ricetta paterna, scegliendo un marchio capace di parlare una lingua universale. Alla radice del nome, il richiamo alle nocciole delle colline di Langa ("nut" dall'inglese hazelnuts), mentre il suffisso "ella" ingentilisce la parola con un suono dolce e "spalmabile".
La Nutella diventa rapidamente molto più di un semplice alimento: rappresenta un simbolo di piacere alla portata di tutti, metafora del desiderio e del dolce peccare. Dal barattolo panciuto di vetro alla consistenza voluttuosa, ogni elemento è studiato per investire la sfera emotiva. Nasce lo slogan "Che mondo sarebbe senza Nutella" e il prodotto diventa fenomeno di costume, trasformandosi da marchio in vocabolo di uso comune entrato nei dizionari.
Accanto alla Nutella, Ferrero costruisce un portfolio di successi che hanno segnato generazioni. I Mon Chéri arrivano nel 1956, seguiti dal Kinder Cioccolato nel 1968, anno che precede l'introduzione dei confetti Tic Tac nel 1969. Il 1974 segna la nascita del Kinder Sorpresa, mentre nel 1982 debuttano i Ferrero Rocher, completando una gamma che ha conquistato il mondo.
Quando Michele Ferrero è scomparso nel febbraio 2015, il "Financial Times" lo ha salutato come "il Willy Wonka dei cioccolatai della vita reale", riassumendo il segreto del suo successo: "La sua più grande abilità era conoscere cosa vogliono i bambini".
La storia della famiglia Ferrero è segnata anche da momenti drammatici che hanno forgiato il carattere dell'azienda. La prima tragedia risale all'estate del 1949, quando Pietro Ferrero, il fondatore, muore prematuramente lasciando il figlio Michele, appena uscito dagli studi in ragioneria, a gestire da giovanissimo le redini dell'impresa familiare.
Sessantadue anni dopo, il 18 aprile 2011, un'altra tragedia colpisce la dinastia: Pietro Ferrero, primogenito di Michele e amministratore delegato insieme al fratello Giovanni, muore improvvisamente. La scomparsa del possibile erede designato costringe Giovanni a prendere da solo il timone dell'impero, responsabilità che ha saputo trasformare in opportunità di crescita ancora più ambiziose. È sotto la sua guida solitaria che Ferrero ha intrapreso la più aggressiva strategia di acquisizioni della sua storia.
Dal 2011 Giovanni Ferrero, classe 1964, guida da solo l'impero di Alba. Cresciuto a Bruxelles e specializzatosi negli Stati Uniti, ha dovuto assumere responsabilità che inizialmente condivideva con il fratello Pietro, trasformando il dolore in determinazione imprenditoriale. È sotto la sua guida che l'azienda ha proiettato verso ambizioni ancora più grandi attraverso una strategia di acquisizioni aggressive.
Il primo colpo risale al 2014 con l'acquisto del turco Oltan, uno dei più grossi produttori mondiali di nocciole. Nel 2017 arriva la prima acquisizione che fa discutere: 115 milioni di dollari per il colosso americano Fannie May Confections Brand. Ma il vero salto di qualità avviene nel 2018 con l'acquisizione dei dolci Usa Nestlé per 2,8 miliardi di dollari.
Con l'operazione Nestlé, Ferrero ha messo le mani su venti storici marchi americani, tra cui icone del cioccolato come Butterfinger, BabyRuth, 100Grand, Raisinets, Wonka e il diritto esclusivo sul marchio Crunch negli Stati Uniti, oltre ai brand di caramelle SweeTarts, LaffyTaffy e Nerds.
Il risultato è la conquista del posto come terzo produttore dolciario al mondo, con 365mila tonnellate di Nutella distribuite annualmente e una presenza in oltre 170 paesi attraverso 23 stabilimenti produttivi. Oggi Ferrero rappresenta un modello virtuoso di crescita internazionale e l'emblema del capitalismo familiare italiano, dimostrando che le aziende del Belpaese possono essere protagoniste anziché vittime del processo di consolidamento globale. Il gruppo, che ha chiuso l'ultimo esercizio con un fatturato consolidato di 10,5 miliardi di euro, mantiene la propria indipendenza come società privata non quotata, una scelta strategica che consente alla famiglia di preservare il controllo diretto e una visione di lungo termine.
L'acquisizione di Kellogg si inserisce in questa strategia di espansione che ha trasformato una piccola pasticceria piemontese in un gigante mondiale, dimostrando come il mantenimento del controllo familiare possa essere un vantaggio competitivo anziché un limite alla crescita.