albicocche più care del 40%

Non solo ciliegie a 20 euro: nell'estate 2025 la frutta diventa un lusso per pochi

Ciliegie +100%, albicocche +40%, pesche +11%: i cambiamenti climatici spingono i prezzi alle stelle e le famiglie italiane tagliano frutta e verdura dal carrello

24 Lug 2025 - 14:09
 © Istockphoto

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Quest'estate la frutta è diventata un vero e proprio bene di lusso. Le ciliegie hanno toccato i 20 euro al chilo, pesche e albicocche sono aumentate a doppia cifra, mentre gli italiani sono costretti a dire addio a uno dei pilastri della dieta mediterranea. Dietro questa impennata c'è una tempesta perfetta: cambiamenti climatici, calo della produzione e speculazione che trasformano la spesa quotidiana in un salasso per le famiglie. I dati parlano chiaro: secondo l'Ismea, nella prima settimana di luglio le albicocche sono aumentate del 40% rispetto al 2024, le ciliegie del 100%, mentre pesche e nettarine hanno registrato rincari tra il 7% e il 15%. Il conto è salato: una famiglia media deve spendere tra i 200 e i 290 euro in più rispetto all'anno scorso per mantenere gli stessi consumi di frutta e verdura. Un lusso che sempre più italiani non possono permettersi.

Clima impazzito, raccolti distrutti

 La colpa principale è del clima che non dà tregua. L'agricoltura italiana, che vale il 27% del Pil nazionale, sta pagando il prezzo più alto degli eventi estremi. Quest'anno è stato un disastro: siccità prolungata, gelate primaverili, temperature record a giugno e poi grandinate devastanti.

Le ciliegie pugliesi sono l'esempio più drammatico. La Puglia produce il 30% delle ciliegie italiane con i suoi 18mila ettari coltivati, ma le gelate di marzo e aprile hanno distrutto i fiori, causando un crollo della produzione tra il 70% e il 100%. Risultato: prezzi alle stelle per un frutto che dovrebbe essere simbolo dell'estate italiana.

Tre decenni fa il problema era la sovrapproduzione, mentre oggi non riusciamo nemmeno a soddisfare la domanda interna. Negli ultimi dieci anni la produzione di frutta fresca è calata del 30%, con crolli verticali: pere -43%, pesche -15,5%, nettarine -28,9%.

Addio primato italiano

 L'Italia sta perdendo il primato che deteneva su agrumi, uva, kiwi, pere e ciliegie. Secondo Coldiretti, negli ultimi quindici anni sono scomparsi 300mila ettari di coltivazioni ortofrutticole e oltre 200 milioni di alberi da frutto sono stati tagliati. Molti agricoltori hanno gettato la spugna: tra eventi estremi che distruggono i raccolti e prezzi troppo bassi riconosciuti ai produttori, l'attività è diventata insostenibile.

Ma c'è un altro problema: come riportato dal "Manifesto", l'Italia è al quinto posto mondiale tra i paesi più colpiti dai cambiamenti climatici, secondo l'organizzazione Germanwatch. La classifica degli anni più caldi degli ultimi duecento anni vede ai primi posti il 2024, 2023 e 2022, con il 2025 che ha tutti i requisiti per entrare in questa poco invidiabile top list.

Il carrello si svuota

  Le conseguenze sulla tavola degli italiani sono drammatiche. L'Osservatorio del mercato ortofrutticolo rivela che è sparito un frutto su dieci dal carrello della spesa. Dal 2019 si è perso nel consumo quotidiano un milione di tonnellate di ortofrutta e quasi due milioni di consumatori abituali.

I numeri sono allarmanti: siamo scesi sotto i 400 grammi di consumo giornaliero di frutta e verdura a persona, il minimo raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità. Prima della pandemia il 20% della popolazione consumava almeno quattro porzioni al giorno, oggi siamo sotto il 17%.

Le fasce a basso reddito sono le più penalizzate: quando devono scegliere cosa mettere nel carrello, frutta e verdura vengono viste come un "di più" da sacrificare. Un allontanamento dalla dieta mediterranea che avrà conseguenze pesanti sulla salute pubblica negli anni a venire. La speculazione finanziaria fa il resto, allargando sempre di più il divario tra i prezzi riconosciuti ai produttori e quelli pagati dai consumatori. Mentre l'agricoltore spesso vende sottocosto, al supermercato i prezzi volano. Il "caro clima" si riflette direttamente sul portafoglio delle famiglie, trasformando la frutta da alimento base a bene di lusso per pochi.

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