Il grande assente Sergio Mattarella forse ha raffreddato i rapporti con l'altoatesino dopo il suo rifiuto di presentarsi al Quirinale a gennaio
di Manuel Santangelo© IPA
La politica c'è sempre stata nei momenti storici dello sport italiano. Basti pensare al vittorioso Mondiale di calcio di Spagna '82, quando anche il Presidente della Repubblica Sandro Pertini entrò nell'immaginario comune grazie alle sue colorite esultanze per i gol di Rossi, Tardelli e Altobelli, oltre che alla mitologica partita a carte sul volo di ritorno con i campioni del mondo Zoff, Causio e Bearzot. Con lui, per la finale di quel mundial con la Germania, arrivarono anche due ministri della Repubblica con dei voli di linea perché c'era la sensazione di poter scrivere una pagina importante non solo dello sport ma anche del racconto epico collettivo del nostro Paese. Non c'erano ancora i social e forse la vicinanza delle istituzioni si poteva esprimere solo così, dal vivo. Adesso, 43 anni dopo, un altro importante traguardo per l'Italia tout court si è materializzato ma senza alcun rappresentante della politica ad applaudire e sostenere Jannik Sinner, primo connazionale a trionfare sull'erba di Wimbledon in quello che è il tempio per eccellenza del tennis.
Intendiamoci a uno come Jannik non sarà interessato troppo il mancato supporto diretto dei vertici dello Stato: per indole l'altoatesino è bravissimo nel confidare solo sul proprio entourage, tenendo fuori tutto ciò che non è strettamente legato al tennis. Poi, quando sei sul campo principale dell'All England Lawn Tennis and Croquet Club pronto alla rivincita col tuo rivale per eccellenza, probabilmente hai altro a cui pensare. Non stai lì a pensare "chissà se c'è a battere compostamente le mani per me almeno un ministro senza portafoglio?"
Eppure, in un mondo come quello odierno dove lo sport è uno strumento politico (si pensi all'uso che ne fanno le monarchie arabe del Golfo), presenziare a certi eventi ha un senso ancora maggiore, che trascende i meri doveri di rappresentanza. Nella già citata finale del Bernabeu, Pertini prese regolarmente posto a fianco al padrone di casa (il re spagnolo Juan Carlos) e all'allora cancelliere tedesco Helmut Schmidt. Ieri nel palco reale del Centre Court c'era un altro regnante iberico in veste di tifoso numero uno del "suo" Carlos Alcaraz, seduto a fianco agli aristocratici di casa (il principe William e la principessa Kate con i figli George e Charlotte) ma mancava comunque qualcuno a fargli compagnia: sembrava esserci una sedia vuota, un'assenza pesante.
Chi rappresentava Sinner e soprattutto l'Italia? Certo, dallo stesso palchetto spuntavano anche le teste dell’ambasciatore italiano a Londra Inigo Lambertini e della moglie Maria Grazia Gragnano ma sembrava un po' pochino per un evento di tale portata simbolica. La sensazione era quella di essere a una festa di laurea dove si erano presentati solo i lontani zii da Londra e non i genitori. Certo, c'era anche il capo della Federtennis Angelo Binaghi, bravo a celebrare un trionfo che è l'apice per un intero movimento: "Siamo un fenomeno nazionalpopolare. Il tennis italiano è una corazzata. Abbiamo il tennista più forte al mondo e non è un caso isolato perché abbiamo la Paolini che ha vinto Roma, Musetti che è numero 7 e con Jannik potremmo avere due italiani alle finali di Torino; Cobolli, Berrettini che dobbiamo recuperare, Sonego, 8-10 giocatori che il mondo ci invidia". Eppure forse la nostra politica non ha capito ancora la portata di questa storia, che tocca l'apice con tale impresa.
C'erano ovviamente delle assenze giustificate, come quella di Giorgia Meloni, impelagata nella scomoda faccenda dei dazi e impossibilitata a raggiungere Londra. Niente di grave, nel 1982 anche il suo predecessore Spadolini non si mosse da Palazzo Chigi, bloccato dalla solita tendenza alla instabilità della nostra politica. Ma qualcuno dell'establishment sarebbe dovuto comunque esserci per farne le veci.
Il grande assente è il Pertini di oggi, Sergio Mattarella, che con Jannik ha un po' raffreddato i rapporti dopo il gran rifiuto dell'altoatesino di presentarsi al Quirinale per ragioni legate alla sua schedule di allenamento. Il silenzio del Presidente della Repubblica finisce quindi per fare notizia più degli elogi sperticati prodotti da mezzo Parlamento tramite i propri canali social: "Un’altra pagina di storia per lo sport italiano: Jannik Sinner trionfa a Wimbledon e fa sognare un’intera Nazione. Orgogliosi di te, campione!”, è il messaggio postato su X da Meloni, comunque felice di far sentire la propria vicinanza come può, mentre a ruota arrivano anche i complimenti dei suoi compagni di governo. "Con il cuore in gola abbiamo tutti sofferto insieme a te, l’Italia è orgogliosa di te!!!", assicura sempre sui social il ministro Antonio Tajani mentre sale sul carro del vincitore anche l'opposizione, rappresentata dalle congratulazioni virtuali di Schlein, Conte e Renzi.
Ma resta quella mancanza, quel voto pneumatico. La Spagna andava col tridente formato da Re Felipe VI il suo segretario privato Camilo Villarino e il Ministro dell’Interno Fernando Grande-Marlaska e noi col solo ambasciatore Lambertini. Una differenza abissale, che si è palesata a match finito. Mentre lo sconfitto Alcaraz si prodigava in ringraziamenti pubblici per l'elegante monarca Felipe, presentatosi in completo spezzato con una cravatta rossa come il colore della Spagna nello sport, Jannik poteva citare solo chi davvero lo ha aiutato ad arrivare fin lì, il team tecnico e la famiglia.
"Non voglio andarmene senza dire una cosa... devo solo ringraziare – capirete - il re di Spagna, per essere venuto qui a sostenermi. Per me è un onore avervi sugli spalti – ha aggiunto rivolto direttamente a lui – a fare il tifo, dopo aver volato fin qui per assistere alla finale. Quindi le sono davvero grato. Grazie mille per essere venuto", diceva l'onorato Carlos mentre il povero Jannik si limitava a ricordare l'apporto di famigliari e team. Forse è anche giusto così ed è sicuramente in linea con la comunicazione di un campione che di certo non deve ringraziare nessuno per i suoi traguardi. Però, da italiani, fa male costatare come nessun politico, e quindi nessun rappresentante del popolo per eccellenza, abbia deciso di osservare coi propri occhi la magia accorsa sull'erba londinese anche per noi.