Il caso Flotilla: la missione per portare aiuti a Gaza
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L'intercettazione della Global Sumud Flotilla solleva questioni giuridiche cruciali sulla libertà di navigazione e i limiti del blocco navale di Gaza
L'intercettazione della Global Sumud Flotilla da parte di Israele è avvenuta in acque internazionali, dove vige un principio fondamentale del diritto marittimo: la libertà dei mari. Oltre le 12 miglia nautiche dalla costa (vale a dire circa 22 chilometri terrestri), ogni nave è soggetta esclusivamente alla sovranità dello Stato di cui batte bandiera. Nessun altro Stato può esercitare controlli a bordo o intervenire, salvo casi eccezionali previsti dal diritto internazionale.
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Il diritto internazionale consente a uno Stato di intervenire su navi straniere in acque internazionali solo in circostanze estremamente gravi: sospetto di pirateria, tratta di esseri umani o trasporto di sostanze stupefacenti. L'azione di fermare una missione umanitaria, come quella della Flottiglia diretta a Gaza, non rientra in queste eccezioni. Secondo gli esperti di diritto internazionale, l'Idf è intervenuta in violazione delle norme che regolano la navigazione in alto mare.
Israele giustifica l'intervento invocando il blocco navale applicato sulle acque di Gaza dal 2009. Tuttavia, le regole che disciplinano il blocco navale - previste dal Manuale di Sanremo del 1994 sui conflitti in mare - stabiliscono un limite cruciale: non si può impedire il transito di beni di prima necessità se la popolazione civile non ha cibo o mezzi di sussistenza. La grave carenza di aiuti umanitari a Gaza rende il blocco fortemente contestato dalla comunità internazionale.
La legittimità dell'intervento israeliano è ulteriormente minata dalla complessa situazione territoriale. È difficile sostenere che le acque di Gaza siano acque territoriali israeliane, dato lo status di Israele come potenza occupante. La Corte Internazionale di Giustizia ha ripetutamente affermato che qualsiasi intervento in quanto occupante è illegittimo. Inoltre, anche nelle acque territoriali (fino a 12 miglia dalla costa), alle navi civili è consentito il diritto di passaggio inoffensivo, purché non rechino danni alla sicurezza. Gli Accordi di Oslo prevedevano che le acque di fronte a Gaza fossero affidate all'Autorità Nazionale Palestinese, con la sicurezza esterna gestita da Israele.
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La mappa del blocco navale israeliano davanti a Gaza mostra una struttura a zone concentriche che limitano progressivamente l'accesso alle acque. Secondo gli Accordi di Oslo del 1994, la zona si estende fino a 20 miglia nautiche dalla costa.
L'area proibita completamente si trova nella fascia più esterna, mentre procedendo verso la costa si incontrano zone con restrizioni decrescenti: 15 miglia nautiche, 12 miglia (limite delle acque territoriali), 6 miglia e 3 miglia nautiche.
Esiste infatti un'area accessibile in modo discontinuo, che evidenzia come il blocco non sia uniforme ma vari a seconda delle zone e dei periodi. Questa configurazione, documentata dall'Ocha (l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari) nella mappa del 2023, mostra come il blocco si estenda ben oltre le acque territoriali teoriche, coinvolgendo ampie porzioni di mare internazionale.
Il precedente più noto dell'intervento israeliano contro flottiglie umanitarie risale al 2010, quando l'Idf intercettò imbarcazioni turche causando la morte di 10 attivisti. Una commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite appurò le responsabilità israeliane e la violazione del diritto internazionale, ribadendo che i civili che non partecipano alle ostilità hanno diritto di protezione anche in zone di guerra. Anche in quel caso, le accuse israeliane sulla presenza di elementi vicini a organizzazioni terroristiche non furono suffragate da prove concrete.
Israele sostiene che a bordo di alcune imbarcazioni della Global Sumud Flotilla ci siano persone vicine ad Hamas. Tuttavia, come sottolineano gli esperti di diritto internazionale, "ci vorrebbero delle prove, non basta sostenerlo". La semplice affermazione non giustifica la violazione del diritto internazionale. La presenza di parlamentari a bordo, pur non cambiando la situazione dal punto di vista giuridico, evidenzia la natura pacifica e trasparente della missione umanitaria.
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Le navi della Marina italiana e della Marina spagnola che inizialmente scortavano la flottiglia si sono fermate prima di entrare nella zona critica. La decisione è stata presa probabilmente per ragioni di carattere politico e di sicurezza: la presenza di navi militari di altri Stati entro le 120 miglia dalla costa aumentava significativamente il rischio di un incidente diplomatico o militare che avrebbe potuto trasformarsi in un casus belli.