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L'importanza della noia: da malessere a ricarica per il cervello

Uno stato d’animo sgradevole che però è benzina per la creatività e il problem solving

L'importanza della noia: da malessere a ricarica per il cervello - foto 1
Istockphoto

La noia: un sentimento di disagio e di vuoto che fa venire voglia di sbadigliare, trasformato in protagonista della canzone di Angelina Mango (per nulla noiosa!), vincitrice del Festival di Sanremo.

La noia riconquista un posto di primo piano nel nostro mondo, dove sembra che il tempo non basti mai e che non ci sia il più piccolo spazio per annoiarsi: quando capita un piccolo spazio vuoto nella frenesia degli impegni, subito corriamo a riempirlo con un’altra attività, perché, oltre che fastidiosa, la noia ci fa anche sentire in colpa. Eppure, paradossalmente, questo senso di disagio e di malessere interiore, è di grande importanza per lo sviluppo dei processi creativi del cervello e per la ricerca di nuove soluzioni.

CHE COS’È LA NOIA

 Il dizionario la definisce come un senso di disagio interiore, associato a irritazione e impazienza, legato a una condizione di vuoto o di uniformità e monotonia. La cattiva fama di questo stato d’animo risale al lontano passato, anche se la noia non è sempre stata malgiudicata: i Romani, ad esempio facevano dell’otium (ozio) e dell’inoperosità un vero stile di vita. A Roma, però, oziare non significava stare senza far nulla, ma dedicarsi solo al dolce far niente e al proprio piacere senza obblighi lavorativi o militari. In seguito, a partire dal Medioevo e poi nei secoli successivi, la noia è stata invece assimilata all’accidia, il peccato capitale di chi scivolava nell’inerzia senza commettere il male, ma anche senza perseguire il bene. La noia è stata descritta nella letteratura e studiata da molti filosofi, i quali ne hanno dato interpretazioni diverse: Arthur Schopenhauer, ad esempio, l’associava al possesso di inutili e vacui beni materiali; Søren Kierkegaard la descrive come lo stato in cui cade l’esteta, il quale vive solo nell’istante e nella ricerca del piacere finché non si trova colpito dall’indifferenza nei confronti di tutto; per gli esistenzialisti, come Martin Heidegger e Jean-Paul Sarte, è rivelatrice della vacuità della realtà umana. In ogni caso la noia è qualcosa di negativo e per lo meno fastidioso, capace persino di rallentare la percezione dello scorrere del tempo, e da superare in ogni modo possibile. La psicologia, però, sta rivalutando questo sentimento e gli sta attribuendo significanti completamente diversi.


A CHE COSA SERVE LA NOIA

Gli psicologi hanno identificato due tipologie differenti di noia: la prima è un senso di fastidiosa immobilità, in cui si avverte il desiderio urgente di fare qualcosa e nello stesso tempo la totale, apparente assenza di un'attività che in quel momento possa soddisfarci. È la sensazione di vuoto e di non sapere che fare che proviamo ad esempio, quando siamo chiusi in casa in un pomeriggio piovoso, quando è stato necessario annullare ogni progetto. L’altro tipo di noia è quello tipico di un lavoro monotono e ripetitivo, o di una lezione poco interessante, quando il tempo sembra non passare mai. Il cervello cerca di reagire a entrambi i tipi di noia inventando nuove occupazioni in cui impegnarsi per uscire dal suo stato di disagio. Proprio in questo suo lavoro sta uno dei lati più positivi della noia stessa: per combatterla, la nostra mente si mette alla ricerca di nuove soluzioni e diventa più creativa. È questa la conclusione a cui è giunto un team di studiosi della University of Central Lancashire, dopo aver analizzato i comportamenti di un gruppo di volontari ai quali è stato chiesto di eseguire un compito noioso come trascrivere una rubrica di indirizzi e numeri di telefono.  Successivamente ai partecipanti è stato chiesto di trovare quanti più utilizzi possibili per due tazze di polistirolo: i volontari si sono dimostrati ripetutamente più creativi rispetto al gruppo di controllo. La ricerca ha confermato i risultati di lavori precedenti, facendo concludere che nei momenti di noia il cervello trova lo spazio per divagare e sognare a occhi aperti, attività che hanno un ruolo cardine nei processi cognitivi. Per uscire dal disagio della noia, inoltre, siamo portati a esplorare quello che desidereremmo fare, scoprendo quello che ci piace e conoscendo meglio noi stessi.


LA NOIA DEI BAMBINI

 Annoiarsi un po’, dunque, è importante, soprattutto per i bambini, i quali devono scoprire pian piano quali sono le attività realmente interessanti e alle quali desiderano dedicarsi. È sbagliato, perciò, riempirli di impegni, pianificando tutto il loro tempo fino all’ultimo minuto, così come è da evitare di accendere la tv o ricorrere ai videogiochi o allo smartphone al primo accenno di irrequietezza da parte loro. Una volta concluse le attività di studio e quelle legate a un corretto stile di vita, come lo sport, meglio lasciare un po’ di spazio alla loro inventiva, per sperimentare nuovi giochi o attività di loro gradimento, noia compresa. 


COME SI COMBATTE LA NOIA

 Detto tutto questo, non si può negare che la noia sia uno stato di disagio che si cerca di superare con ogni mezzo. Gli psicologi consigliano, se siamo alle prese con il primo genere di noia, ossia la semplice e irritante inoperosità, di accettarla e lasciare al nostro cervello il tempo di inventarsi qualcosa che ci piaccia fare. Gli studi hanno evidenziato che nei momenti in cui ci sembra di non fare nulla, la nostra mente, libera di vagare, favorisce la creazione di soluzioni innovative e persino geniali. Ipotizzano anche che sia questa la ragione per cui, quando ci immergiamo nella soluzione di un problema complesso, può accadere ogni tanto di perdere la concentrazione e di scoprirci a divagare.  In questi spazi vuoti, e nel riesaminare lo stesso problema dopo una pausa di qualche momento, spesso troviamo soluzioni migliori. 
Più difficile invece è combattere la noia di secondo tipo, legata a eventi che non dipendono da noi, come dover assistere a eventi poco interessanti o svolgere un lavoro monotono e ripetitivo. In questo caso gli esperti suggeriscono di concentrare l’attenzione sull’obiettivo dell’attività barbosa a cui ci tocca dedicarci, o sull’accuratezza di ogni singolo gesto richiesto dal compito, trasformando il lavoro in una sorta di meditazione. Quando poi il problema è sopportare un interminabile discorso, lasciamo fare al nostro cervello: troverà da solo il modo per sfuggire, divagando in sogni ad occhi aperti o inventando altri espedienti.  

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