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Arrestato Bernardo Provenzano

Il boss aveva con sé alcuni "pizzini"

Il boss mafioso Bernardo Provenzano è stato arrestato dalla polizia in un casolare nella campagna di Corleone.

Era disarmato, ma ha opposto debole resistenza. Lo confermano il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone ed i pm della Dda, Michele Prestipino e Marzia Sabella. Provenzano, che aveva con sé alcuni pizzini (foglietti per comunicare) era latitante dal 1963. Subito dopo il blitz ha ammesso la propria identità.

Nessuno l'ha tradito
"Lo abbiamo preso grazie a indagini condotte in vecchio stile, Provenzano non è stato tradito da nessuno". Queste le parole del questore di Palermo che ha spiegato come le forze dell'ordine siano giunti al boss e l'abbiano incastrato. "Dopo tanti pedinamenti e intercettazioni, alla fine abbiamo deciso di agire - ha aggiunto - Nell'ambito dell'arresto del boss, è stato fermato anche un pastore padrone del casolare dove il latitante era nascosto. L'uomo avrebbe avuto un ruolo nell'accudire l'ospite".

Ha tentato di reagire
Scarno in viso, smagrito, giubbotto blu, nonostante l'aspetto dimesso, Bernardo Provenzano durante il blitz ha opposto una debole, quanto inutile, resistenza all'arresto. Secondo gli inquirenti, il boss viveva nel casolare abbandonato in cui è stato bloccato dagli agenti. Accanto alla casa c'era un ovile. Dopo la sua identificazione Provenzano è stato trasferito in una località segreta.

La cattura
Provenzano è stato catturato dalla polizia, in totale una cinquantina di agenti, a due chilometri da Corleone. Gli investigatori hanno sequestrato al boss alcuni "pizzini", i foglietti con cui negli oltre 40 anni di latitanza ha continuato a comunicare e a impartire ordini ai suoi fedelissimi. E' stato proprio un "pizzino" a tradire il boss dei boss di Cosa Nostra. L'ultimo, inviato questa mattina dalla "primula rossa" della mafia, si è infatti rivelato determinante per gli investigatori, che sono risaliti alla masseria, dove si rifugiava l'imprendibile capo della mafia e trascorreva la propria latitanza godendo degli appoggi di alcuni luogotenenti e dei parenti più stretti. Sono state rinvenute numerose lettere e perfino una macchina da scrivere, usata da Provenzano.

Intercettazioni e complici
Durante la cattura dell'ex primula rossa di Cosa Nostra, sono stati identificati anche alcuni complici che si occupavano della latitanza del boss. Proprio seguendo le tracce di questi ultimi la polizia avrebbe scritto la parola fine sulla sua latitanza. Gli investigatori hanno intercettato anche una telefonata, tre settimane fa, di una persona stava prendendo accordi per portare la biancheria pulita al boss.

I pizzini della moglie
In particolare, gli investigatori hanno monitorato una serie di pizzini scritti dalla moglie di Bernardo Provenzano ed a lui inviati per mezzo di una serie di staffettisti, che si alternavano fino a giungere a destinazione. Sono stati seguiti anche due pacchi che, dopo diverse tappe, sono giunti nella masseria. A seguito di questi dati, è stata decisa l'irruzione, che ha consentito di trovare e catturare il boss.

Fermato anche un pastore
La polizia ha fermato anche un pastore, G. M., che sarebbe il proprietario del casolare in contrada Montagna dei cavalli, a monte di Corleone, sopra Chiosi zona di villeggiatura, sulla strada che porta a Prizzi, a 2 km dal centro abitato. Il pastore avrebbe avuto un ruolo anche nell'accudire il boss. Il casolare in cui è stato fermato il padrino corleonese e a poche decine di metri dalla strada comunale che collega Chiosi con un abbeveratoio per animali.

La folla: "Bastardo"
Prima di entrare in Questura, Bernardo Provenzano è stato fatto scendere davanti agli uffici della mobile. Quando è arrivato il corteo di auto che ha condotto negli uffici l'ex primula rossa di Cosa Nostra, la folla radunatasi davanti alla Squadra Mobile di Palermo ha iniziato a gridare "bastardo".

"La sua cattura è un risultato straordinario"
"La cattura di Bernardo Provenzano è lo straordinario risultato dell'impegno profuso in silenzio, con pazienza, determinazione e impareggiabile professionalità, dagli uomini delle forze dell'ordine, cui va anche il nostro personale ringraziamento", hanno commentato l'arresto il procuratore aggiunto Pignatone e i pm Prestipino e Sabella, che hanno coordinato le operazioni per la cattura del boss.

"La cattura di Bernardo Provenzano - hanno affermato i tre magistrati - da parte del servizio centrale operativo della polizia di stato e della squadra mobile di Palermo costituisce un successo di eccezionale importanza perché viene assicurato alla giustizia l'attuale capo di Cosa nostra, già condannato per le stragi più efferate e pone fine ad una latitanza durata fin troppo a lungo".

"La cattura di Provenzano - hanno concluso - è il frutto di un progetto investigativo che la Procura di Palermo è riuscita a concludere dopo anni di lavoro e che ha consentito, nel tempo, di colpire le reti di protezione del latitante e insieme giungere all'arresto ed alla condanna di numerosissimi capi e gregari, che garantivano la sua supremazia nell'organizzazione mafiosa".

"Coperto da imprenditori e politici"
Secondo quanto dichiarato dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, Provenzano avrebbe mantenuto una latitanza così lunga anche grazie alla copertura offertagli da imprenditori e politci. "Siamo riusciti a svelare, in questi anni, la rete di connivenze e complicità che aveva - ha spiegato - Figuravano imprenditori, ma anche tecnici, fino a professionisti e poi anche politici. Il nostro è stato un progressivo avvicinarsi a questo risultato".
Sull'ipotesi che ora si possa aprire una nuova guerra tra cosche, Grasso ha detto "sono siciliano, amo la mia terra e farò di tutto per evitare qualcosa del genere. Finite le indagini sulla cattura di Provenzano, iniziano ora le altre sul materiale sequestrato e per capire le nuove dinamiche".