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Cassazione: rifare processo Mannino

Annullata la condanna per mafia

Le Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna a 5 anni e 4 mesi di reclusione nei confronti di Calogero Mannino, che era stato dichiarato colpevole in appello di concorso esterno in associazione mafioso.

Il processo di secondo grado dovrà essere rifatto davanti ad un'altra sezione della Corte di appello di Palermo. "Non ho nulla da commentare", le prime parole dell'ex ministro dell'Agricoltura.

La sentenza di secondo grado è "un elaborato che si segnala in termini così negativi che dovrebbe essere sottoposta ai giovani uditori per capire come non va scritta una sentenza". Così l'avvocato generale, Antonio Siniscalchi, ha detto nell'aula magna della Cassazione spiegando: "E' una sentenza assurda per come è stata scritta. Ci ha chiamato ad un lavoro enorme. E' un excursus su tutta la vita politica di Mannino nella quale si parla di episodi che vengono poi tralasciati", come quello relativo ai fratelli Salvo. In vari passaggi "si perde il punto di riferimento rispetto alla sentenza delle sezioni unite" che ha delineato i principi secondo i quali si configura il concorso esterno.
Questo deve essere "un contributo apprezzabile, fornito in piena consapevolezza, specifico e concreto". Nella sentenza c'è un elenco di tutte le amicizie di Mannino, episodi, secondo Siniscalchi, che non hanno nessuna incidenza se non quella di delineare il personaggio sul piano etico-politico.

"Io mi sono trovato di fronte al nulla - ha detto Siniscalchi - perché qui signori della Corte, siamo di fronte ad un processo e la figura di Mannino sul piano etico e sociale non ci interessa". Ne è questione per cui "è stato acquisito del materiale poi mal elaborato. C'è una assoluta povertà che non consente di tenere in vita questa sentenza e non consentirebbe nemmeno un rinvio.

Per delineare il concorso esterno - ha detto ancora l'avvocato generale - non ci interessa che cosa la mafia possa aver dato a Mannino, ma che cosa Mannino abbia dato alla mafia e seguendo l'ordine logico della sentenza di secondo grado ci si trova di fronte ad una congerie di episodi visto che "la sentenza torna ossessivamente sugli stessi concetti" ma non c'è nulla che si lasci "apprezzare in termini rigorosi e tecnici", nel senso indicato dai giudici di appello. Non c'è nulla "di concreto e apprezzabile sul piano del contributo. Nulla che indichi un patto elettorale con la mafia, favori in cambio di voti, così serio, preciso e concreto che la sua sola esistenza, con l'impegno e la coscienza da parte del politico, possa valere a sostanziare il concorso esterno in associazione mafiosa. Non basta infatti il rapporto o la contiguità con il singolo, serve che l'interlocutore del politico sia tutta l'associazione a cui si vuol dare un contributo. Né rapporti con Pennino né la vicenda Bono possono essere utili a questo fine. Ci si trova infatti di fronte a due episodi nei quali all'uomo politico, noto esponente della sinistra democristiana, vengono rappresentate le esigenze personali di chi, sostanzialmente cerca di ottenere un favore. Fra l'altro il successo elettorale ottenuto da Mannino nel '93 era anche legato al fatto che il terreno era più sgombro, rispetto al passato, di altri concorrenti politici".