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Giusy, un omicidio "familiare"

Quaranta giorni per risolvere il giallo

Quaranta giorni per fare chiarezza su un atroce delitto; quaranta giorni per vincere reticenze, omertà, connivenze e mettere a nudo una storia dai contorni assurdi e sordidi in cui due giovani vite si sono consumate: quella di Giusy, ammazzata a soli 15 anni, e quella di Giovanni, assassino reo-confesso di una adoloscente innamorata.

Il film del delitto di Giusy Potenza comincia alle 17.10 del 12 novembre scorso quando la ragazza, su richiesta della mamma va al negozio Bernini di Manfredonia, vicino a casa sua, per comprare due cd. Alle 17.15 entra nella rivendita ma non trova quello che le aveva chiesto la madre. Nell'esercizio commerciale incontra invece un amico, un coetaneo, con il quale comincia a parlare. All'improvviso, però, la quindicenne, interrompe la conversazione e dice all'amico qualcosa del genere: "Devo andare, mi aspetta mio zio paterno", oppure "devo andare, mi aspetta il cugino di mio padre", frase sulla quale si concentreranno poi le indagini. Alle 18 la ragazza sale sulla Ford Focus grigia del suo amante, Giovanni Potenza, il ventisettenne pescatore fermato per l'omicidio volontario della ragazzina con la quale aveva da circa due mesi una relazione.

L'appuntamento tra i due - dicono gli investigatori - "era calendarizzato, accadeva spesso che si vedessero quando Giovanni Potenza non era imbarcato". L'autovettura si dirige alla periferia di Manfredonia e si ferma a poca distanza dal muro di cinta dell'ex stabilimento Enichem della città, dove si incontrano le coppiette. Qui, in auto, i due consumano un rapporto sessuale consensuale. Poi discutono della loro storia d'amore, cominciata due mesi prima, all'inizio di settembre, e tenuta segretissima. All'improvviso Giovanni Potenza dice a Giusy che farebbero bene ad interrompere la relazione. "Sai - le dice - prima o poi qualcuno lo verrà a sapere e io ho moglie e due figli di due e otto anni".

Giusy a questo punto si arrabbia. E' imbestialita. Da ragazzina innamorata, vorrebbe che la sua storia d'amore continuasse, magari culminasse nel matrimonio. Invece, il ventisettenne continua a ripetere: "Giusy, deve finire qui". La discussione sfocia in una violenta litigata. La quindicenne esce dalla vettura in preda all'ira e si dirige verso la scogliera dalla quale, complice il buio, cade nel vuoto facendo un volo di circa sei-sette metri. Giusy è ferita. Chiede aiuto. Viene soccorsa dall'amante che la prende in braccio e risale con lei la scogliera. Adagia il corpo sul terreno. "A quel punto - confessa lo stesso indagato al pm che lo interroga - ho rivissuto i momenti delle litigata, ho capito che ormai quella ragazza per me era diventata un problema serio, che poteva mettere in crisi il rapporto con la mia famiglia. Lei aveva detto che se l'avessi lasciata avrebbe raccontato della nostra storia d'amore a mia moglie". Per questo motivo Giovanni Potenza, in preda ad un raptus, afferra un sasso di 7-8 chilogrammi, che è stato sequestrato, e lo scaglia più volte sul capo di Giusy, uccidendola.

"Gli elementi della confessione resa sono coerenti", dice in conferenza stampa il pm inquirente del Tribunale di Foggia, Vincenzo Maria Bafundi, che ammette anche: "Certo, alcune cose non quadrano, ma le indagini continuano per accertare diversi altri aspetti della vicenda". "Si e' trattato di un omicidio d'impeto", aggiunge il dirigente della squadra mobile di Foggia, Antonio Caricato, che spiega che al fermo dell'indagato si è giunti comparando le tracce di liquido seminale trovate sul corpo della vittima con un altro reperto, pare tracce di saliva lasciate dall'uomo su una tazzina da caffé. Il risultato positivo della comparazione, elaborata dalla polizia scientifica di Roma, è stato indispensabile per procedere al fermo.

La soluzione del giallo apre un baratro per i congiunti di Giusy Potenza: al dolore per la morte della ragazzina si aggiunge quello di avere l'assassino a due passi da loro, nella loro stessa famiglia. "L'assassino - dice la sorella di Giusy - è stato il cugino di mio padre. Si chiama Giovanni e niente. Siamo veramente distrutti, quello che ha passato mia sorella lo passerà lui peggio. E' un animale, una belva. Credo che neanche alle belve si fa quello che hanno fatto a mia sorella".