Il calo della domanda e la concorrenza delle gemme sintetiche manda in crisi il settore delle estrazioni: la compagnia sudafricana vede le entrate languire e rischia di essere fagocitata dal governo di Gaborone
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Un diamante è per sempre. O forse no. La pietra più famosa e desiderata del globo non attira come un tempo: le domande sono in calo, i ricavi sono in caduta libera e la concorrenza delle alternative sintetiche si fa aggressiva, a tal punto che il settore si trova in una situazione di grave sofferenza. Lo dimostra la parabola di De Beers, tra le più importanti società di estrazione e commercializzazione di diamanti naturali al mondo, che ha registrato un crollo del 44% dei ricavi, accumulando 2 miliardi di dollari in scorte invendute. E che ora rischia di essere acquistata dal governo del Botswana.
La compagnia De Beers, nata nel 1888 in Sudafrica e ora presente in 25 Paesi del mondo, opera dall'arcipelago artico canadese alle profondità oceaniche della Namibia, passando per gli estesi deserti del Botswana, per scovare diamanti e poi metterli in commercio. È la società che, per intenderci, ha coniato l'iconica frase "Un diamante è per sempre", comparsa in uno spot pubblicitario del 1947.
Controllata dal colosso minerario Anglo American (che detiene l'85% delle sue quote), De Beers si trova in un momento di grave difficoltà: nei primi sei mesi del 2025 ha estratto "solo" 10,2 milioni di carati di diamanti, ossia il 23% in meno su base annua. Anche il suo Ebitda piange, segnando 189 milioni di dollari di perdita. Si tratta di un indicatore finanziario cruciale, che misura la redditività operativa lorda di un'azienda, evidenziandone il profitto prima di considerare interessi, tasse, ammortamenti e svalutazioni. Viene utilizzato per valutare la performance operativa principale di una società e per confrontarla con altre realtà. Come riportava il Corriere della Sera, De Beers segnava un utile di 300 milioni di dollari nel primo semestre del 2024.
De Beers, da fiore all'occhiello, è diventato quasi una "palla al piede" per Anglo American, che secondo i giornali starebbe cercando di disinvestire e di vendere la propria partecipazione. A pesare, come detto, il crollo dei ricavi dovuto ai crescenti dubbi sulla rilevanza culturale ed economica dei diamanti (e il conseguente calo della domanda) e la concorrenza delle gemme sintetiche, che hanno uguali proprietà chimico-fisiche rispetto a quelle naturali ma sono meno costose perché riprodotte in laboratorio. Anche se, sottolineano gli esperti, sono meno vividi e brillanti.
La crisi di De Beers non è ovviamente passata inosservata anche in Botswana. Il Paese con capitale Gaborone possiede il 15% delle quote dell'azienda. Inoltre, le estrazioni di De Beers nello Stato avvengono tramite Debswana, joint venture col governo. Insomma, le attività del gruppo condizionano direttamente l'economia dello Stato africano, visto che l'estrazione di diamanti rappresenta per il Botswana circa il 30% del Pil e il 70% delle entrate in valuta esterna.
Gaborone starebbe dunque cercando di correre ai ripari, dato che la crisi dei diamanti ha portato De Beers ad annunciare un taglio di oltre mille posti di lavoro in Debswana. Come spiega una fonte governativa al Financial Times, il Botswana ha ingaggiato Lizard, nota banca di investimenti francese, come co-consulente insieme alla svizzera Cbh Compagnie Bancaire Helvétique, in merito alla "potenziale acquisizione totale o parziale del gruppo De Beers", che estrae nel Paese la maggior parte dei suoi diamanti. Una mossa avvenuta pochi giorni dopo che Gaborone ha ricevuto da Mansour Holdings, società del Qatar, un impegno di investimento di 12 miliardi di dollari che potrebbe contribuire a finanziare l'accordo.
Lazard ha una lunga esperienza nella consulenza a governi su situazioni finanziarie complesse. Ha anche lavorato su importanti operazioni nel settore minerario, tra cui il tentativo di acquisizione di Anglo American da parte di Bhp. La nomina di Cbh a luglio 2025 aveva invece suscitato perplessità sia nel governo del Botswana che tra i banchieri di Londra, dove lo specialista esclusivo di gestione patrimoniale è relativamente sconosciuto nei circoli delle fusioni e acquisizioni nel settore minerario. In ogni caso, le intenzioni del Botswana appaiono chiare: il presidente Duma Boko ha pubblicamente affermato che De Beers non stava "facendo il suo lavoro" e ha suggerito che il governo avrebbe dovuto "assumere il controllo". E Anglo American? Come detto, la società mineraria sta cercando di vendere la sua partecipazione in De Beers nell'ambito di una più ampia operazione di ristrutturazione. Secondo indiscrezioni, avrebbe ricevuto nove manifestazioni di interesse nella prima fase delle offerte. Il Botswana ha il diritto di eguagliare qualsiasi offerta di terzi.
I diamanti sintetici, costituiti da carbonio purissimo, hanno le stesse caratteristiche chimico-fisiche dei loro corrispondenti naturali, ma vengono prodotti in laboratorio in poche settimane. Non vengono dunque estratti, ma creati attraverso tecniche che tendono a imitare il processo di formazione naturale. È questo l'aspetto principale che lo contraddistingue da quelli tradizionali e che fa "storcere il naso" ai "puristi": chi sfoggia un diamante naturale sa infatti che si tratta di una gemma unica, diversa dalle altre, che si è formata sotto la crosta terrestre nell'arco di secoli e poi è emersa in superficie in seguito a eruzioni vulcaniche.
I diamanti sintetici, entrati nel mercato a fine 1990, hanno prezzi inferiori di circa il 30-40% in meno rispetto a quelli naturali: il loro valore, spiegano gli esperti, tende nel tempo a diminuire, al contrario di quelli naturali. Hanno inoltre colori meno vividi e mancano della stessa brillantezza di quelli tradizionali. Sono stati tuttavia "sdoganati" dalle grandi firme anche per questioni etiche: le gemme sintetiche, proprio perché prodotte in laboratorio, evitano forme di sfruttamento lavorativo nelle miniere.