Speciale È morto Giorgio Armani, il re dello stile italiano
il futuro economico del gruppo

Armani, un impero da 2,3 miliardi che ha fatto dell'italianità la sua bandiera

Ottomila dipendenti, seicentocinquanta negozi nel mondo e una successione già pianificata. Cosa succede al gruppo dopo la morte del fondatore che ha sempre rifiutato la quotazione in borsa

di Giuliana Grimaldi
04 Set 2025 - 23:20
 © Ufficio stampa

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Giorgio Armani è morto lasciando un gruppo da 2,3 miliardi di ricavi, 8.700 dipendenti e 650 negozi nel mondo. Soprattutto, ha lasciato un'azienda completamente italiana in un settore dove due terzi dei marchi storici sono finiti in mani straniere.

Armani, le società dello stilista

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© Withub

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Un impero costruito dal basso

   Dietro il mito di Re Giorgio c'è una macchina industriale formidabile: 8.700 persone che lavorano ogni giorno per tenere accese le luci di 650 boutique sparse per il pianeta e creare la magia di ogni passerella. I conti del 2024 raccontano di un gruppo da 2,3 miliardi di fatturato e quasi 600 milioni parcheggiati in banca. Non male per un giovane creativo che aveva iniziato disegnando le vetrine da Rinascente. Gli investimenti non si sono mai fermati: 332 milioni l'anno scorso, più del doppio del 2023. Segno che Armani, fino all'ultimo, credeva nel futuro della sua creatura.

Molto più che abiti

 Non solo giacche dal taglio impeccabile e vestiti d'alta moda commercializzati sotto le diverse etichette: Giorgio Armani, Armani Privé, Emporio Armani, EA7 Emporio Armani, A|X Armani Exchange. L'ultimo colpo, l'acquisto ad agosto de La Capannina di Forte dei Marmi, ha ricordato a tutti come gli interessi del fondatore fossero allargati ad alberghi, ristoranti, locali: un ecosistema del lusso che va ben oltre l'abbigliamento. Perché il vero lusso oggi non è più solo quello che si indossa, ma quello che si vive.

Il testamento di un visionario molto concreto

 Dal 2016 Giorgio aveva le idee chiare su cosa sarebbe successo dopo di lui. Niente improvvisazioni: una fondazione con le carte in regola e le persone giuste al posto giusto. Pantaleo Dell'Orco, il braccio destro di sempre, e Irving Bellotti di Rothschild, quello che gli ha sempre tenuto a posto i conti. Al timone operativo dovrebbe salire Andrea Camerana, il nipote. Sangue del suo sangue, ma preparato per il mestiere. La fondazione ha regole ferree: niente dividendi da distribuire, tutto quello che entra viene rimesso in gioco. Una garanzia che il marchio continuerà a investire su se stesso, proprio come ha sempre fatto il fondatore.

Proprio nel 2016 Armani scriveva: "Ho deciso di creare la Fondazione Giorgio Armani per realizzare progetti di utilità pubblica e sociale e per assicurare che gli assetti di governo del Gruppo Armani si mantengano stabili nel tempo, rispettosi e coerenti con alcuni principi che mi stanno particolarmente a cuore e che da sempre ispirano la mia attività di designer e imprenditore. Questi principi fondanti sono basati su: autonomia e indipendenza, un approccio etico alla gestione con integrità e correttezza, un’attenzione all’innovazione e all’eccellenza, priorità assoluta allo sviluppo continuo del marchio Armani sostenuto da adeguati investimenti, una gestione finanziaria prudente ed equilibrata, un limitato ricorso all’indebitamento e un cauto approccio alle acquisizioni".

Alla Fondazione il compito di gestire anche un patrimonio personale stimato tra gli 11 e i 13 miliardi di euro; non lascia infatti eredi diretti, se non

le nipoti Silvana e Roberta, figlie del fratello Sergio, e il nipote Andrea Camerana, figlio della sorella Rosanna. 

La tentazione di una crescita fuori dal suo controllo
 Mentre intorno a lui cadevano in mani straniere uno dopo l'altro tutti i brand simboli del Made in Italy - Gucci a Kering, Bottega Veneta pure, Bulgari a LVMH - Armani ha sempre detto no. No alla borsa, no ai fondi di investimento, no alle multinazionali del lusso che facevano a gara per mettere le mani sui marchi italiani.

Una scelta che oggi, guardando i numeri, sembra quella di un visionario. In un settore dove due terzi dei brand storici italiani sono finiti in mani straniere, Armani resta uno dei pochissimi completamente nostri. Insieme a Prada (che ha appena comprato Versace), Dolce & Gabbana e pochi altri, rappresenta l'ultimo presidio dell'italianità nella moda mondiale.

L'eredità che conta davvero

I soldi, i negozi, i dipendenti: tutto questo passerà alla fondazione. Ma la vera eredità di Giorgio Armani è un'altra: aver dimostrato che si può conquistare il mondo senza vendersi l'anima. Che l'indipendenza non è un lusso che ci si può permettere, ma una necessità per chi vuole lasciare il segno. In un'epoca dove tutto si compra e si vende, dove i marchi saltano di mano come figurine, Armani ha tenuto duro. E ha vinto. La sua storia è la storia di un'Italia che sa ancora fare la differenza, quando vuole. 

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