Da Roosvelt al miliardario Perot, tutti quelli che hanno provato a far uscire gli Usa dal bipolarismo hanno sempre fallito più o meno fragorosamente
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Elon Musk, si sa, ama buttarsi nelle imprese impossibili ma stavolta conquistare il cuore degli statunitensi per lui potrebbe essere più complicato di colonizzare Marte. A dirlo è la storia, che ha sempre condannato al fallimento qualunque esperimento politico che abbia provato a rompere il bipolarismo Usa prima dell'appena fondato "America Party". L'uomo più ricco del mondo ha detto di puntare con la sua nuova creatura all'80% di voti "nel mezzo" ma a molti è sembrato un sogno irrealizzabile, precedenti alla mano. D'altra parte è vero che il magnate può contare su un ampio capitale, economico e reputazionale, ma lo avevano anche altri illustri aspiranti presidenti poi arresisi al fragoroso fallimento.
Quando si pensa a uomini molto ricchi che hanno provato a inserirsi nello spazio lasciato libero da democratici e repubblicani il primo nome che viene in mente è il miliardario Ross Perot, che nel 1992 ottenne quasi il 19% del voto popolare, arrivando secondo in due Stati, ma senza portare a casa neanche un grande elettore. Andrà capito a questo punto quale è tuttavia l'obiettivo di Musk, che potrebbe puntare in realtà anche solo ad agire da "agente del caos", favorendo col suo peso uno o l'altro candidato. È quello che fece Perot, che sfruttò la sua influenza per orientare il suo elettorato a favore di Clinton, risultando decisivo con i suoi 19 milioni e 643 mila voti per la sconfitta del repubblicano George Bush. Perot, a onor del vero, ci riprovò anche quattro anni dopo, ottenendo un ragguardevole 8,4% con il suo Reform party. Anche il frontman del partito dei verdi Ralph Nader nel 2000 ebbe un ruolo importante in quella complessa tornata, terminata con il testa a testa all'ultimo voto tra Bush figlio e Al Gore. Insomma Trump è avvisato: Musk può essere un elemento di disturbo in futuro anche senza arrivare allo scontro frontale con l'ex alleato.
Volendo andare a scavare un po' nella storia statunitense, troviamo i primi concreti tentativi di terzo partito già all'inizio del secolo passato. Dopo essere stato alla Casa Bianca dal 1901 al 1908, Theodore Roosvelt non si arrese alla sconfitta nelle primarie del partito repubblicano e decise di scendere in campo come volto di una nuova entità politica: il partito progressista. Si trovò così, nelle elezioni del 1912, ad affrontare quello stesso William Taft che lui in prima persona aveva scelto come suo successore. Non andò benissimo alla fine né a Roosvelt né al suo ex delfino, visto che la corsa venne vinta dal democratico Woodrow Wilson. A Roosvelt rimase comunque la discreta soddisfazione di essere il candidato di un terzo partito con più successo della storia americana. Nessuno riuscirà mai più a raggiungere il suo 27% di preferenze partendo da oustider. L'ex presidente riuscì addirittura a portarsi a casa otto grandi elettori, riuscendo a mettere la sua "Bull Moose" (l'alce toro) tra l'elefante repubblicano e l'asino simbolo dei democratici.
Più di recente un altro personaggio ben in vista come il miliardario Michael Bloomberg sembrò vicino a provare la scalata da indipendente ma, dopo la vittoria della Clinton nelle primarie contro Trump, decise di fare un passo indietro. A farlo desistere era stato probabilmente anche il record in tempi recenti di tutti quei piccoli partiti che hanno provato a fare la voce grossa, raccogliendo sempre poco o niente. Nelle ultime elezioni tutti i minuscoli "third parties" statunitensi sono riusciti a portarsi a casa complessivamente appena due milioni, centocinquantanove mila e quarantanove voti. Si tratta di fatto di briciole: basti pensare che Jill Stein, candidata del Partito verde (Green party) e terza assoluta alle spalle di Kamala Harris, si è attestata su un misero 0,4%, pari a poco più di 640mila voti. Sono calati persino i libertari, che nel 2016 erano riusciti comunque a sfiorare un dignitoso 4%. Il partito che prometteva di essere una "nuova classe dirigente per gli Stati Uniti d’America", alla fine ha dovuto dare ragione a Trump che, nel suo stile, a maggio 2024 li aveva avvertiti: "Vincerete solo se sosterrete la mia campagna, altrimenti potete continuare a ottenere il vostro 3% ogni quattro anni". Che il presidente abbia fatto una predizione simile anche all'ex amico Elon Musk in privato? Non è da escludere ma, dopo che sono volati gli stracci tra i due, è difficile credere che il magnate sudafricano si sia fatto convincere a desistere dai suoi propositi di conquista della Casa Bianca.