Italia e dazi, le 10 province che esportano di più negli Usa
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Anche se le trattative commerciali tra Usa e Ue sono ancora aperte, il costo maggiore delle importazioni potrebbe ricadere sui consumatori. Generando un impatto anche sull'occupazione
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L'impatto dei dazi americani e dell'accordo sottoscritto tra Usa e Ue rischiano di far schizzare i prezzi di numerosi prodotti anche in Italia. A partire dal gas che, stando all'intesa raggiunta da Donald Trump e Ursula von der Leyen, l'Europa importerà in quantità maggiori dagli Stati Uniti e che pagherà di più rispetto alle forniture provenienti dall'Africa o dalla Russia (prima della guerra in Ucraina). Il Gnl americano ha tra l'altro costi di estrazione più alti rispetto alla media globale. Tra i settori a rischio rincari per i dazi globali per le famiglie del nostro Paese c'è anche la telefonia mobile (cellulari e smartphone) e la moda popolare, in primis per quanto riguarda capi come i jeans.
Come riportato da Il Messaggero, l'Ufficio Studi di Confcommercio ha osservato come negli Usa i dazi "ridurranno la capacità di spesa delle famiglie americane, che sono i maggiori consumatori al mondo. E meno spese vuol dire minori commesse alle imprese di tutto il mondo che producono i loro beni, comprese quelle italiane. Le quali dovranno scegliere se aumentare i prezzi, limitando le vendite, oppure contenerli".
I prodotti americani di medio o largo consumo che arrivano in Italia sono sempre meno, ma ben radicati. Gli snack dolci ne sono un esempio: secondo il Codacons, coi dazi attuali il loro prezzo potrebbe salire di 45 centesimi a barretta. Altri beni decisamente meno accessibili a tutti, come le moto Harley Davidson, potrebbero costare quasi 5mila euro in più rispetto a ora. Per contro, i viaggi e le vacanze verso gli Stati Uniti dovrebbero costare meno.
Dicevamo che le trattative non sono finite. Anzi, ora entreranno nel vivo, esattamente come desiderava Trump. C'è una lunga lista di settori e categorie di prodotti da discutere singolarmente. A partire dai beni agroalimentari, soprattutto quelli americani che saranno esentati dalle tariffe doganali europee. Con l'esclusione di quelli che vengono definiti "prodotti sensibili" europei (carne di manzo e pollame, riso, etanolo, zucchero), per i quali verrà mantenuta la situazione mercantile attuale che li protegge sul mercato interno. Secondo fonti di Bruxelles, nell'agroalimentare i prodotti a stelle e strisce su cui si sta ancora discutendo eventuali dazi zero - "o molti bassi" e su quote predefinite - sono "pochi" e comunque senza aggirare gli standard di sicurezza Ue. Vi compaiono alcuni prodotti ittici, pesce crudo, trasformati, frutta a guscio, aragoste, formaggi, alcuni latticini, semi e olio soia e mangimi per animali domestici. Insomma pochi ma non pochissimi. Il nodo, alla fine, è sempre lo stesso: capire quanto i consumatori pagheranno di più i beni importati in Europa, cioè quanto gli importatori scaricheranno sulle famiglie i maggiori costi dei prodotti.
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Il meccanismo è chiaro e potrebbe abbattersi anche sul tasso di occupazione, già basso nel nostro Paese. Fermo restando che la trattativa commerciale tra Usa e Ue è ancora aperta, soprattutto per quanto riguarda i potenziali accordi tra ogni singolo Stato e Washington. Secondo un'indagine del Censis, realizzata prima dell'intesa euroamericana, la decisione statunitense di imporre dazi del 10% (dunque inferiori a quelli attuali) avrebbe messo a serio rischio oltre 68mila posti di lavoro.