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Phubbing: il triangolo tra te, me e lo smartphone

La brutta abitudine che ci spinge a trascurare una persona in carne ed ossa per concentrarci sul telefonino

Phubbing: il triangolo tra te, me e lo smartphone - foto 1
Istockphoto

Il phubbing, neologismo che deriva dall’unione delle parole phone e snubbing (snobbare una persona in carne e ossa per consultare freneticamente lo smartphone), è un fenomeno raccontato da una parola difficile, ma comunissimo nell’esperienza.

Lo facciamo praticamente tutti: seduti a tavola, nel salotto di casa quando guardiamo la tv, perfino mentre camminiamo per la strada, anche se c’è una persona accanto a noi che ci accompagna. In pratica, ignoriamo il nostro interlocutore in carne e ossa per restare incollati allo schermo del nostro cellulare, ignorando accanto a noi un caro amico, il partner o addirittura i figli.

PHUBBING: CHE COS’È – Il termine è stato inventato nel 2013 dall’australiano Alex Haigh, allora studente di marketing e oggi esperto di comunicazione. Il fenomeno, che in italiano potremmo tradurre con l’espressione “snobbare con lo smartphone”,  consiste nella sgradevole esperienza di trovarsi accanto a una persona che ci ignora completamente perché assorbito dalla lettura di mail, messaggi e post sui social. Dedicarsi a chat, messaggi e scrolling è un’attività comprensibile e giustificabile in situazioni come un viaggio treno, sul bus o in coda in un ufficio; diventa invece un gesto di estrema scortesia se ci troviamo in compagnia di altre persone, ad esempio seduti a tavola o in momenti che dovrebbero essere dedicati alla socializzazione. Se poi la persona trascurata è il partner, il phubbing può minare la relazione; se poi, peggio ancora, ruba tempo ai figli gli effetti sono ancora peggiori. Oltre ai rischi che derivano dal perdere di vista i piccoli anche solo per pochi minuti, i bambini si troveranno alle prese con la frustrazione di non riuscire a catturare l’attenzione del genitore e, nello stesso tempo, con il desiderio di ripetere lo stesso comportamento. 

 

UNA COMPULSIONE PROBLEMATICA – Il phubbing di solito comincia come un atto volontario: lo smartphone ci notifica un messaggio in arrivo e siamo portati a controllare immediatamente e a rispondere al volo.  Quando la consultazione del telefonino diventa un gesto automatico, del quale non ci rendiamo neanche più conto, può instaurarsi una compulsione alla quale non sappiamo resistere e che ci porta a ignorare del tutto chi ci sta vicino, senza che neppure ci rendiamo conto della mancanza di rispetto nei suoi confronti. La vita virtuale finisce così per prendere il sopravvento su quella reale, rendendo il phubber sgradevole e antipatico agli occhi dei propri conoscenti.  La dipendenza da smartphone, nota anche con il termine “nomofobia”, è ormai un fenomeno dilagante soprattutto tra i giovani e consiste nell’ansia di rimanere privi di connessione, di ricarica o di qualunque cosa metta il telefonino fuori uso.  Oltre alla maggiore difficoltà di intrattenere relazioni positive con i proprio amici in carne ed ossa, la dipendenza da cellulare porta a una riduzione dell’attività fisica, a un’eccessiva esposizione alla luce blu e, alla lunga, a sintomi legati ad ansia e perfino alla depressione. 

COSA DICE LA SCIENZA - Al phubbing sono stati dedicati alcuni studi scientifici. Ad esempio, uno studio del 2016 condotto da James A. Roberts e Meredith E. David, e pubblicato sulla rivista Computers in Human Behaviour, ha evidenziato che il phubbing incrementa notevolmente le tensioni all’interno della coppia, soprattutto in caso di partner ansiosi e in presenza di tendenze depressive. A risultati molto simili è arrivata un'altra ricerca, realizzata dagli studiosi dell'Università del Kent e pubblicata dalla rivista Journal of Applied Social Psychology: il phubbing è stato riconosciuto responsabile di esclusione sociale, capace di minacciare bisogni umani fondamentali. Infine, un'indagine del 2021 ha rilevato che la sensazione di sentirsi trascurati è meno intensa se l'altro legge un libro o un giornale: la lettura viene percepita come un'attività più costruttiva rispetto alla navigazione compulsiva su un telefonino.

 

COME DIFENDERSI – Anche se passa spesso inosservato, il phubbing è un fenomeno dal quale occorre imparare a difendersi. Se ne siamo vittime, dobbiamo imparare a comunicare il nostro disagio in modo efficace, in modo da ottenere l’attenzione che ci spetta. Particolare attenzione richiede la presenza di bambini, sia per assicurare loro una sana relazione con i genitori, sia per non scatenare comportamenti di imitazione. Ecco allora alcuni sani comportamenti da mettere in atto:
-    Concordare alcuni momenti della giornata in cui tenere il cellulare spento o silenziato;
-    Organizzare il lavoro in modo da garantirsi spazi di disconnessione;
-    Non tenere lo smartphone sul tavolo durante i pasti, in particolare al ristorante;
-    Eliminare dal telefonino la App più coinvolgenti, che ci assorbono molto tempo
-    Prendere l’abitudine di leggere un libro o una rivista cartacea sostituendoli allo scrolling compulsivo. 
 

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