Non conosce tregua l'efferatezza dei delitti di genere: si è fatto molto, ma ancora non basta
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Una donna su tre, secondo dati Istat, in Italia subisce violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. E le più sfortunate vengono uccise. I dati diffusi trimestralmente dal ministero dell'Interno e aggiornati al 1° settembre 2025 parlano di 60 delitti commessi in ambito familiare o affettivo che hanno avuto come vittime delle donne, in diminuzione rispetto allo scorso anno quando le vittime sono state 79 (con un calo del 24%); di queste donne uccise, ben 44 hanno perso la vita per mano del partner o dell'ex-partner. I numeri degli ultimi mesi confermano le dimensioni del fenomeno che si è delineato negli ultimi anni, le cui caratteristiche sono strutturali e che le contromisure messe in atto fino a questo momento non sono state sufficienti ad arginare. Per questo, la Giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne, che si celebra oggi, 25 novembre, continua a essere un momento importante di sensibilizzazione, di denuncia e un grido di dolore per un numero così elevato di casi di sopraffazione e di morte.
CHE COS'È LA GIORNATA PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE - La dimensione di questo doloroso fenomeno, diffuso in tutti i Paesi del mondo, ha portato l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a istituire una Giornata, il 25 novembre appunto, per sensibilizzare l’opinione pubblica su una lunga serie di atti di sopraffazione che hanno il loro apice nel femminicidio, ma che comprendono molte altre forme di violenza di genere, fisica e psicologica, e per commemorare a livello internazionale tutte le donne vittime di violenza di genere e. Le prime iniziative risalgono al 1998: qualche tempo dopo, il 17 dicembre 1999, è stata promulgata la risoluzione 54/134 che istituisce formalmente la Giornata. La data non è stata scelta a caso: il 25 novembre 1960, è infatti il giorno in cui è avvenuto il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal (Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva e Antonia María Teresa), nate a Salcedo, in Repubblica Dominicana e attiviste in opposizione al regime del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. In quella data, infatti, le tre donne furono intercettate da un gruppo di agenti del Servizio di informazione militare a La Cumbre, lungo la strada che percorrevano per recarsi a far visita in prigione ai loro mariti, incarcerati per le loro attività contro il regime trujillista. Le tre donne furono barbaramente seviziate, violentate, uccise e infine lanciate da un dirupo con la loro auto per simulare un incidente. L’omicidio de “Le farfalle” (questo era il nome in codice delle tre sorelle) ebbe il potere di scatenare una grande e commossa reazione popolare che culminò nel 1961 con l’uccisione di Trujillo, segnando la fine di una dittatura crudele che teneva da trent'anni il Paese in uno stato di caos e di arretratezza. Oggi il 25 novembre si ricordano tutte le donne che hanno perso la vita a seguito di un delitto di genere, ovvero in quanto donne, o che subiscono violenze e soprusi fisici o psicologici per questa stessa ragione.
IL MOVIMENTO DELLE SCARPETTE ROSSE - Uno dei simboli più intensi e coinvolgenti della Giornata contro la violenza sulle donne è quello delle Scarpette Rosse: le calzature di questo colore, indossate o esposte in segno di memoria, vogliono rappresentare le donne che hanno perso la vita a causa degli omicidi di genere e insieme i passi di cui sono state private. La consuetudine è nata da un progetto di arte pubblica, creato nel 2009 dall'artista messicana Elina Chauvet e intitolata “Zapatos Rojos”, che significa appunto scarpe rosse. L’installazione costituisce un progetto di arte itinerante ed è composta da centinaia di paia di scarpe femminili di ogni tipo e foggia, dai modelli più eleganti a tacco alto, fino alle pantofole e agli zoccoletti, sempre e rigorosamente di colore rosso per raffigurare il sangue di tante vittime; le calzature, raccolte di solito per passaparola o con appositi appelli sui social media, sono esposte ordinatamente lungo un percorso urbano per simboleggiare la marcia silenziosa di donne che non ci sono più o che non possono comunque esprimere a viva voce la loro sofferenza, in un appello silenzioso e toccante.
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LE PANCHINE ROSSE – Un altro simbolo che si va diffondendo in questi ultimi anni è quello della panchina rossa, un simbolo nazionale e internazionale per dire "no" alla violenza contro le donne e al femminicidio. Rappresenta il posto vuoto lasciato da una donna che è stata uccisa e serve sia come monito che come punto di riferimento visibile per ricordare la necessità di un impegno collettivo per prevenire e contrastare la violenza di genere. Anche in questo caso, il colore rosso indica il sangue di non c'è più, ma anche la denuncia e a passione di chi lotta contro la violenza di genere. Sulla panchina rossa non ci si siede: è il modo per indicare simbolicamente la mancanza e il venir meno di chi è stato privato della vita con la violenza e che ora non c'è più. La panchina rossa viene installata in luoghi pubblici, come piazze, giardini, scuole o musei per attirare l'attenzione, suscitare una riflessione e insieme per non dimenticare le vittime. Di solito alla panchina è apposta una targa con il numero di telefono gratuito di aiuto antiviolenza, il 1522, per ricordare a chi ha bisogno di aiuto che occorre denunciare le situazioni di violenza e che non bisogna mai rinunciare alla speranza di ricevere aiuto e, grazie a questo, venirne fuori.