Giorgio Armani, la sua ultima collezione: i best look della sfilata a Brera
© Ufficio stampa | Giorgio Armani collezione donna primavera estate 2026
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La taglia 40–42 come standard internazionale, le radici negli anni ’90 e il dibattito sempre vivo: la passerella come spazio estetico o modello pericoloso da imitare?
© catwalk picttures, ufficio stampa
La Milano Fashion Week non è soltanto una vetrina del lusso e del design, ma anche un potente specchio dei canoni estetici del nostro tempo. E tra le luci dei riflettori e i tessuti che scorrono leggeri, c’è una domanda che continua a riproporsi: perché le modelle sono così magre?
Impossibile dare una risposta univoca. Si può dire, però, che questo trend affonda le sue radici attorno agli anni ’90, quando il fenomeno del “heroin chic” e la figura di Kate Moss hanno imposto un ideale diverso dalle silhouette formose delle decadi precedenti. Da quel momento la taglia 40–42 è diventata lo standard a internazionale delle passerelle. Una motivazione che è insieme estetica e pratica: i corpi esili vengono considerati quali “tela perfetta” per i capi, consentono linee pulite e scivolate, uniformità visiva e riducono i costi, perché gli stilisti realizzano quasi sempre i campionari in una sola misura, piccola.
Essere magre, poi, ha assunto negli anni anche un significato simbolico. Una silhouette filiforme è stata associata a controllo, disciplina, esclusività. Un corpo sottile, nella logica della moda, non deve rubare la scena ma esaltare la creazione. La passerella non vuole raccontare la vita quotidiana, ma un’idea di eleganza e di sogno. Tuttavia, un conto è sfilare in passerella, e interpretare l'idea degli stilisti, altro invece è essere sane e in salute, diffondendo una allure di charme e fascino che non sempre sono legati alla taglia 40.
La magrezza non è certo un problema in sé, lo diventa quando quell’ideale estetico viene percepito come un diktat sociale. Per le giovanissime – e non solo – proporre costantemente corpi esili può diventare un modello irraggiungibile e generare un rapporto distorto con il cibo e con il proprio corpo. Disturbi alimentari, fragilità psicologica, bassa autostima sono tra le conseguenze più pericolose di un canone estetico che, se preso come prescrittivo, rischia di trasformarsi in una gabbia.
Va detto che non sempre la magrezza delle modelle deve essere interpretata come una minaccia. Quando la passerella viene letta per quello che è, e cioè un palcoscenico creativo, un’espressione estetica, può rimanere confinata in quell’ambito senza influenzare la vita quotidiana. È in questo equilibrio che si gioca oggi la sfida: riconoscere che la moda parla un linguaggio simbolico, sebbene non possa ignorare l’impatto culturale che quelle immagini hanno sul pubblico.
Negli ultimi anni, anche grazie ai social e alla pressione delle nuove generazioni, qualcosa sta cambiando. Sempre più stilisti portano in scena modelle curvy, corpi maturi, silhouettes differenti. Si tratta di segnali incoraggianti, seppur ancora limitati. Le passerelle di Milano, Parigi, Londra e New York restano dominate dalla magrezza, a testimonianza di un sistema che fatica ad abbandonare lo standard consolidato.
La domanda quindi resta aperta: la moda deve continuare a essere un laboratorio estetico indipendente dalla realtà o deve assumersi la responsabilità di promuovere un’immagine del corpo più inclusiva? Forse la risposta è proprio nella capacità di dialogo: mostrare che la bellezza può avere tante forme senza comunque rinunciare all’eleganza e alla creatività.
© Ufficio stampa | Giorgio Armani collezione donna primavera estate 2026
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