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La direzione del Pd dà l'ok all'abolizione dell'articolo 18

Approvata la relazione del segretario e premier Matteo Renzi. Nellʼodg votato dallʼassemblea, il diritto al reintegro resta solo per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari. Venti i "no" e 11 gli astenuti alla votazione

renzi, direzione pd
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La Direzione del Pd ha approvato la relazione del segretario e premier, Matteo Renzi, con 130 sì, 20 no e 11 astensioni. Il partito ha dato quindi il via libera al governo sull'abolizione dell'articolo 18: secondo l'ordine del giorno approvato, il diritto al reintegro resta solo per i licenziamenti discriminatori e quelli disciplinari. L'odg prevede anche più ammortizzatori sociali, meno forme contrattuali e rafforzamento dei servizi per l'impiego.

La direzione del Pd dà lʼok allʼabolizione dellʼarticolo 18

Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani sono tra i 20 esponenti della Direzione del Pd ad aver votato contro la relazione di Matteo Renzi. Tra i contrari anche Pippo Civati e gli esponenti della sua componente (Felice Casson, Paolo Cosseddu, Marco Sarracino, Beatrice Brignone, Marina Terragni e Paolo Cova). Dei bersaniani hanno votato "no" Stefano Fassina, Alfredo D'Attorre, Gianni Cuperlo, Barbara Pollastrini, Roberta D'Agostini, Davide Zoggia, così come il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano. Contro la relazione di Renzi anche il "lettiano" Francesco Boccia e la "bindiana" Margherita Miotto.

Civati ha spiegato di aver votato contro "non apprezzando la relazione del segretario, non condividendo i toni e le modalità di una discussione condotta per una settimana sui media con toni da destra (e da destra non a caso apprezzatissimi), segnalando che si tratta di una mediazione parziale e tardiva (e un mezzo cambiaverso sull'articolo 18 molto pasticciato), che non vi è nessuna chiarezza sui testi normativi, nessuna definizione circa la riduzione reale dei contratti, nessun impegno sulle cose di cui la legge delega non parla, nessuna lettura degli emendamenti proposti da 40 senatori, nessun chiarimento sui rilievi di costituzionalità avanzati, nessun cenno alla questione della formazione posta in molti interventi, nessuna precisione nell'indicare le coperture nella legge di stabilità che forse è la cosa più importante. Mi sembrano motivi sufficienti per votare no".

Nel suo discorso conclusivo prima del voto dell'ordine del giorno, Renzi ha ribattuto alle critiche piovute dalle minoranze del partito, spiegando che "definire questo governo privo di solidità, tutto slogan e annunci, va contro la realtà dei fatti". Il segretario non ha usato mezze parole nemmeno con Bersani e D'Alema: "Facciamo quello che voi per anni avete detto. Dicevate di tassare meno il lavoro e spostare sulla rendita e lo abbiamo fatto. Quando dite che bisogna dare battaglia in Europa per cambiare Europa, noi abbiamo fatto l'operazione dei 300 miliardi che abbiamo fatto tutti insieme, per portare il Pse a non fare solo una trattativa sui posti, come qualcuno voleva fare magari per cercare di sistemarsi lui".

A Cesare Damiano, presidente della Commissione lavoro alla Camera, ha invece ricordato che "l'abolizione dello scalone è stato un errore. Se non avessimo fatto quell'operazione avremmo dieci miliardi di euro in più". "Non so se sono state fatte riforme hard - ha quindi replicato alludendo all'intervento di Pier Luigi Bersani - non so come definire la Fornero. So però che quella riforma per i costi prodotti per gli esodati ci è costata più o meno quanto lo scalone Damiano".

Ancora sul lavoro, il presidente del Consiglio ha sottolineato che "non possiamo non dire che la riforma del mercato del lavoro non può essere rappresentata in modo macchiettistico. E' imbarazzante parlare con chi vuole investire in Italia e non dire: ti do la certezza di quanto spendi. L'imprenditore deve essere messo nella condizione di provarci, tentare, ma nel momento in cui non ce la fa, non possiamo dirgli 'non puoi farlo'. Il punto centrale non è solo cambiare l'art.18 ma avere un'idea vincente di futuro".

Il premier, quindi, ha puntato il dito anche contro il sindacati, che "in questi anni hanno avuto una responsabilità drammatica perché hanno rappresentato una sola parte", ed è "inaccettabile" non dirlo. "Se non lo diciamo, noi facciamo un danno al sindacato".

Il segretario del Pd ha quindi sottolineato che "se si porta avanti questo disegno unitario che comprende la giustizia, la legge elettorale, la riforma del lavoro, la scuola", sarà "una scommessa, una sfida per il Paese che può avere ancora una speranza. E noi porteremo avanti questo disegno".