Le nuove norme comunitarie su clima ed emissioni potrebbero tagliare i profitti delle imprese italiane più esposte nei prossimi cinque anni
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Le aziende italiane che non si preparano adeguatamente alla transizione verde rischiano di vedere i propri utili ridursi fino al 25% nei prossimi cinque anni. È questo l'allarme che emerge da una nuova analisi sui rischi climatici che evidenzia come la convergenza di nuove normative europee, volatilità dei mercati e pressioni sui costi possa configurarsi come una "tempesta perfetta" per le imprese del continente.
Lo studio, pubblicato dall'agenzia Adnkronos, è stato elaborato dalla boutique finanziaria Wieldmore e porta la firma di Giuseppe Amitrano (ex Ubs, Rbs e Scotia Bank) e Antonio Guglielmi (ex Merrill Lynch e Mediobanca), partner della società di consulenza. Per elaborare le previsioni, i ricercatori hanno analizzato i prezzi futuri attesi dai mercati finanziari per materie prime come carbonio, gas e fertilizzanti, oltre a utilizzare tecnologie satellitari per prevedere eventi climatici estremi in collaborazione con l'agenzia spaziale britannica.
La ricerca esamina quattro regolamenti del Green Deal che avranno l'impatto più diretto sul mondo delle imprese.
Mentre la CSRD genera principalmente oneri amministrativi aggiuntivi, le prime tre normative impatteranno direttamente sui conti economici delle imprese già dal 2026. Il calendario serrato delle implementazioni lascia alle aziende una finestra molto ristretta per adeguarsi, con il rischio che i costi di adattamento dell'ultimo minuto siano significativamente più elevati.
I settori più colpiti saranno siderurgia, energia, agricoltura, industria pesante, costruzioni, logistica. Le materie più sensibili diventeranno alluminio, ferro, elettricità, caffè, soia, cacao, cellulosa, cemento, acciaio e fertilizzanti. Particolarmente stringente sarà l'impatto su cemento, acciaio e fertilizzanti a causa dell'effetto cumulato di ETS e CBAM, con pressioni aggiuntive derivanti dalla catena di fornitura. Il dato più allarmante emerge dall'analisi complessiva: più del 30% del Pil europeo sarà impattato dalla transizione a partire dal prossimo anno.
L'Italia si presenta a questa sfida con caratteristiche peculiari che potrebbero amplificare gli impatti. Il tessuto economico italiano, incentrato sulla trasformazione delle materie prime, è destinato ad amplificare gli impatti regolatori della transizione.
Le analisi di Wieldmore, basate sui prezzi futuri che oggi vengono negoziati sui mercati finanziari, suggeriscono per le aziende italiane più esposte un potenziale impatto negativo dei rischi di transizione e dei rischi fisici fino al 25% dell'utile cumulato dei prossimi cinque anni, circa due terzi del quale nella seconda metà del periodo.
Lo studio identifica cinque principali fonti di rischio che potrebbero erodere significativamente la redditività aziendale. Si tratta di una combinazione di nuovi costi normativi, aumenti dei prezzi delle materie prime, maggiori spese per il credito e rischi legati agli eventi climatici estremi. Ecco nel dettaglio come ciascun fattore impatterà sui conti delle aziende:
1. Il caro-emissioni: pagare per inquinare diventa la regola Dal prossimo anno le aziende europee dovranno acquistare sempre più "permessi di inquinamento" per le loro emissioni di CO2. Le quote gratuite che finora coprivano buona parte delle emissioni si stanno esaurendo, con una riduzione programmata del 4,5% all'anno. Significa che inquinare costerà sempre di più. I numeri parlano chiaro: nel 2023 l'Ue ha incassato 43,6 miliardi di euro dalla vendita delle quote di emissioni, di cui 33 miliardi distribuiti agli Stati membri. Il prezzo del carbonio è schizzato da 5 euro per tonnellata nel 2017 agli attuali 72 euro, e le proiezioni indicano un ulteriore aumento.
2. Dazi verdi sulle importazioni: i prodotti esteri costeranno di più Il nuovo meccanismo CBAM renderà più costosi i prodotti importati da paesi che inquinano di più. Prendendo l'esempio dell'alluminio, i calcoli dello studio prevedono un aumento del costo complessivo per le importazioni da fuori Eurozona di circa il 33% nei prossimi cinque anni. L'impatto varierà in base al paese di origine: importare dall'India costerà il doppio rispetto a Mozambico o Kazakhstan a causa delle diverse emissioni di CO2.
3. Materie prime "pulite": il conto della deforestazione Anche se rinviata di un anno al 2026, la normativa anti-deforestazione sta già facendo sentire i suoi effetti sui prezzi. Le aziende dovranno dimostrare che caffè, soia, cacao, legno e altri prodotti non provengono da aree deforestate. I mercati hanno già reagito: il prezzo del caffè è più che raddoppiato in meno di due anni, mentre la soia "pulita" costa fino al 30% in più rispetto a quella convenzionale.
4. Prestiti più cari per chi inquina Le banche stanno introducendo clausole sempre più severe nei contratti di finanziamento, legando i tassi di interesse alle performance ambientali delle aziende. Chi non si adegua ai nuovi standard green dovrà pagare di più per accedere al credito, in un mercato del debito che sta ancora definendo i nuovi equilibri di prezzo.
5. Il clima estremo ferma la produzione Le temperature record e gli eventi climatici estremi stanno diventando un rischio concreto per la continuità operativa. I modelli satellitari prevedono fino a 15 giorni con temperature sopra i 40 gradi in alcune zone produttive del Nord Italia, costringendo le aziende a fermare i macchinari per rispettare le norme sulla sicurezza dei lavoratori. Un singolo evento alluvionale può causare perdite operative pari al 15% dei ricavi annui.
Per affrontare questa sfida, secondo lo studio le aziende dovranno rivedere completamente il loro approccio operativo e strategico. Innanzitutto sarà fondamentale sviluppare sistemi di monitoraggio più sofisticati per tenere sotto controllo i costi e l'origine delle materie prime, abbandonando la pratica di acquisti dell'ultimo momento in favore di una pianificazione di lungo periodo che permetta di proteggersi dai rincari.
Le imprese più grandi dovranno inoltre supportare i fornitori più piccoli, spesso essenziali nelle catene di approvvigionamento ma più vulnerabili ai nuovi costi della transizione. Sul fronte finanziario, con le banche che diventeranno sempre più selettive verso i settori inquinanti, sarà necessario esplorare forme alternative di finanziamento per gli investimenti verdi.
La pianificazione degli investimenti dovrà privilegiare soluzioni definitive come il passaggio dal gas all'elettrico, piuttosto che rimandare con palliativi che costeranno di più in futuro. Infine, le aziende non potranno più ignorare i rischi legati agli eventi climatici estremi, sviluppando piani di emergenza per gestire ondate di calore, alluvioni e altri fenomeni che possono bloccare la produzione e causare perdite fino al 15% dei ricavi annui.
Le banche rischiano di divenire il convitato di pietra al banchetto della transizione. Da un lato manca ancora un riferimento normativo chiaro, dall'altro sono consapevoli di avere già in bilancio molte criticità attraverso esposizioni a lungo termine verso la clientela più a rischio. La Bundesbank ha stimato un aumento della probabilità di default di circa il 40% nei prossimi tre anni su un vasto campione di banche tedesche in uno scenario di neutralità climatica entro il 2050.
La crisi dei mutui subprime aveva evidenziato i rischi sistemici a cui mercato, economia e banche possono andare incontro quando si manifesta un problema rilevante di adeguamento del valore del credito. La transizione energetica presenta dinamiche non dissimili.
Gli autori dello studio sottolineano che lavorare oggi sulla trasparenza portando alla luce il costo, ancora in gran parte nascosto, della transizione contribuirà a ridurre la volatilità dei conti aziendali e l'intensità di shock di aggiustamento futuri del mercato, rendendo al contempo il sistema finanziario più resiliente nel lungo termine. La sfida è epocale, ma secondo Amitrano e Guglielmi, affrontarla con preparazione e strategia può trasformare i rischi in opportunità per le imprese che sapranno adattarsi per tempo.