MAI COSI' TANTI

Record di dimissioni dei papà: nel 2024 quasi 19mila hanno lasciato il lavoro per occuparsi dei figli

La motivazione principale dell'abbandono dei genitori? L’impossibilità di conciliare vita professionale e cura dei bambini. Il 24% dei dimissionari soltanto in Lombardia. La fotografia dell'Ispettorato nazionale 

27 Mag 2025 - 13:13
 © -afp

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Nel 2024 quasi 61 mila genitori, con figli fino a tre anni, hanno lasciato il lavoro in Italia. Diecimila in più del pre-pandemia. Il motivo? Oltre 35mila genitori, rispetto al totale, hanno dato come principale motivazione l’impossibilità di conciliare vita professionale e cura dei bambini. Tra le altre ragioni ci sarebbero orari troppo lunghi, carichi di lavoro eccessivi e desideri di trovare aziende migliori. È quanto emerge da una verifica dell’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) il quale accerta che non ci siano casi di mobbing.

A lasciare il lavoro sono state soprattutto le donne: tra le motivazioni che hanno dato troviamo l’impegno nell’accudire i piccoli. Ma a mollare l'impiego sono stati anche quasi 19 mila uomini, il 30,5% del totale. Non si era mai registrato un dato simile prima d'ora. Se da un lato rappresenta una maggiore mobilità sul lavoro, dall’altro può essere il segno di un primo cambiamento negli equilibri familiari: l’anno scorso il 21,1% dei padri, circa 4mila, ha fornito come ragione principale del recesso la complessità nella cura dei bambini. Appena due anni prima la percentuale era stabile al 7,1%.

Rimane "uno sbilanciamento di genere di notevoli proporzioni", ricostruisce l’Inl. Ma la crescita tra i padri, è probabilmente "il segnale di un ulteriore indebolimento di un Paese che fa molta fatica. E quando subentra un figlio diventa tutto più impegnativo. Non si riescono a gestire i tempi: molti lavorano su orari incompatibili con le esigenze dei bambini", spiega a la Repubblica Mauro Magatti, professore di sociologia all’Università Cattolica di Milano.

Tra i genitori dimissionari, considerando ogni motivazione, "la componente dei padri non è più trascurabile" scrive l’Inl: nell’ultimo decennio sono passati da "presenza residuale" a quasi un terzo del totale. In un contesto di incertezze economiche e salari bloccati, "può succedere che nella coppia decida di mantenere il posto il lavoratore 'più forte': chi ha migliori possibilità sul mercato. E oggi sono anche donne istruite e preparate una razionalità economica", continua il professore.

Tanti dimissionari sono operai, sanitari, addetti al commercio, impiegati in alberghi e ristorazione. Per Danilo Papa, direttore dell’Inl, le ultime analisi sono la conferma che "la genitorialità, in particolare per le lavoratrici madri, continua a rappresentare un momento critico nella permanenza nel mercato del lavoro. Questo quadro rafforza la necessità di un’azione istituzionale integrata, capace di prevenire e contrastare le discriminazioni in modo efficace, tempestivo e concreto".

Marianna Filandri, sociologa economica all’Università di Torino, sempre su la Repubblica, evidenzia quanto incidano "impieghi poco pagati o saltuari che non forniscono abbastanza reddito per le spese della cura, così costose. Si rinuncia a un reddito per bilanciare le spese e svolgere quelle attività. Quasi sempre è la donna a farlo, perché ha salari più bassi. Il fatto che oggi, magari nelle coppie giovani, alcune possano guadagnare di più, o avere contratti più stabili, può spingere l’uomo a rimanere a casa".

E aggiunge: "Davanti al bassissimo tasso di natalità, la risposta politica non può essere un bonus, serve un supporto strutturale". Il 24% degli abbandoni sono in Lombardia. Seguono Veneto ed Emilia Romagna. Agli ultimi posti Basilicata, Valle D’Aosta, Molise. "I congedi di paternità sono uno dei modi più importanti per arrivare a una parità effettiva. Andrebbero estesi al pari di quelli delle donne. Sulla famiglia bisogna metterci la mano. La Francia ha agito su congedi e incentivi, ha funzionato", dice Rita Biancheri, professoressa di sociologia dei processi culturali all’Università di Pisa.

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