In rapporto al Pil il nostro Paese è ormai da almeno un decennio quello che spende meno, almeno rispetto agli altri grandi protagonisti del Vecchio Continente. Un calo costante che ormai ci accompagna dall'inizio del Millennio
di Manuel Santangelo© Istockphoto
Il famoso giornalista americano Sydney J. Harris usava una bellissima metafora per spiegare a cosa servisse l'istruzione, che secondo lui aveva lo scopo primario di "trasformare gli specchi in finestre". Non basta insomma convocare squadre di vetrai per migliorare le aule scolastiche del nostro Paese quanto guardare fuori dalle metaforiche finestre per capire cosa fanno i nostri vicini. Piccolo spoiler: devolvono più risorse economiche all'istruzione, facendo una scelta diametralmente opposta a quella compiuta ormai da anni in Italia.
Secondo gli ultimi dati ufficiali rilasciati dall'Eurostat e riportati anche dall'ISTAT, al 2023 (l'ultimo anno censito) l'Italia aveva destinato all'istruzione appena il 3,9% del Pil, una percentuale piuttosto bassa se si pensa per esempio che la media europea si attesta attorno al 4,7%. Per ritrovare il nostro Paese in linea con i numeri del resto del Continente bisogna addirittura risalire agli albori del nuovo millennio, quando nel 2000 la percentuale di investimenti dedicata alla scuola era pari al 4,5%. Da allora, nonostante il cambio di vari governi e di tantissime variabili esogene, il calo delle risorse è stato di fatto costante, scendendo sempre dal 2010 (con l'eccezione di episodici picchi registrati a cavallo tra il 2018 e il 2020).
In soldoni, quel 3,9% equivale a circa 82,9 miliardi di euro, un'inezia a fronte di un PIL italiano che nel 2023 era più o meno pari a 2.128 miliardi di euro. Cifre che ci posizionano di fatto in "zona retrocessione" in una classifica dove facciamo meglio solo di Irlanda e Romania. Per dare l'idea: la Nazione più 'generosa', la Svezia, arriva a investire addirittura più del 7%, mentre le sue più dirette inseguitrici superano abbondantemente il 6. Si parla di Paesi che spesso compiono investimenti importanti anche in termini di strutture, diventando leader nella perfetta commistione tra sistema scolastico e tecnologia (si pensi in questo senso a Estonia e Finlandia, che in classifica arrivano dopo solo agli svedesi e ai belgi).
In questo quadro ciò che sorprende è che il nostro sistema sembra partire bene per poi frenare sempre di più con l'avanzare del percorso scolastico. Possiamo immaginare l'istruzione nel nostro Paese come uno di quegli alunni che vanno benissimo alle elementari per poi gradualmente far calare il proprio rendimento col passare degli anni.
L'Italia è infatti paradossalmente molto attiva per quanto concerne gli investimenti nelle scuole primarie, salvo poi quasi "dimenticarsi" di quegli stessi alunni con l'andare degli anni. Nel 2021 abbiamo addirittura investito più di tutti per le scuole elementari, almeno se consideriamo i "giganti" economici del Continente. Quell'anno la spesa per alunno arrivò a raggiungere in Italia una percentuale pari al 25% del Pil pro capite. Un ottimo andamento che tuttavia non veniva replicato nelle scuole secondarie e superiori. In quest'ultimo caso l'investimento sul singolo studente universitario non superava i settemila euro, meno della metà della cifra stanziata dalla Germania e considerevolmente meno anche di Spagna e Francia. Nel corso degli ultimi 23 anni la spesa pubblica destinata all'istruzione universitaria si è sensibilmente abbassata, passando dal 20% al 15% del Pil pro capite, in concomitanza con la crescita degli studenti che provavano la carriera accademica.
Quello sugli investimenti compiuti è un indicatore quantitativo, che quindi di per sé non rappresenta il livello della qualità dell’offerta educativa. Va anche altresì ricordato però, come ha fatto di recente la commissaria europea all’istruzione Roxana Mînzatu che "spendere per l’istruzione è un investimento, non un costo". Una dichiarazione che viene avvalorata dai numeri, visto che un rapporto proprio dell'Unione quantifica i benefici potenziali sul Pil con maggiori investimenti nella scuola, arrivando a predire una crescita compresa tra l’8% e il 10% rispetto alle proiezioni attuali. Un balzo sostanziale possibile qualora un maggior numero di cittadini raggiungesse livelli sufficienti di competenze di base entro il 2030. A livello individuale, un anno aggiuntivo di istruzione può, sempre secondo i dati europei incrementare il reddito personale fino al 7%. Insomma "trasformare specchi in finestre" può convenire, per aprire la mente ma anche il portafoglio.