Nel Paese che conta il numero più alto in Europa di content creator, sono i "pesci piccoli" quelli che vedono i loro incassi crescere. Niente che basti per vivere, spesso e volentieri, ma abbastanza per considerare quelle entrate da social un discreto plus
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Siamo un popolo di santi, poeti e navigatori... su internet. Per questo forse possiamo fregiarci ormai anche del titolo di Paese degli influencer. Secondo il rapporto I-Com 2024 l'anno scorso si contavano infatti ben 82 influencer ogni 100mila abitanti, per un totale di 37.700 content creator sul nostro territorio. Ne abbiamo la percentuale più alta in Europa, con ben il 28% di questi professionisti che considera ormai il creare (e sponsorizzare) contenuti la sua principale occupazione.
A dare certi numeri è la piattaforma di influencer marketing con sede in Francia Kolsquare, che assieme a B Corp, ha analizzato i dati nel rapporto Creator Economy 2025. Secondo questo studio, a motivare la maggior parte dei creator nel battere questa strada non ci sarebbe tuttavia solo una meritoria voglia di intrattenere o di crearsi una community, almeno alle nostre latitudini: ben il 36% degli intervistati fa infatti sapere di sognare una carriera da influencer soprattutto per il guadagno (percepito come) facile. Ma davvero la rete e i social sono un tale Eldorado? O, come i cercatori d'oro del Vecchio West, tutti corrono sperando di approfittare di un filone che si sta già esaurendo? La verità è che oggi "piccolo è bello", anche in questo settore iper-competitivo.
Secondo un’indagine di DeRev siamo di fronte a un panorama che dà indicazioni quantomeno contraddittorie: dal confronto con l’anno passato emerge infatti come, a fronte di un mercato in crescita, i guadagni degli influencer siano diminuiti negli ultimi dodici mesi. Un calo contenuto, rispetto soprattutto al crollo del 2023, e che ha in particolare avuto effetti sull'elite del settore, quella composta dai pochi nomi che possono contare ancora su eserciti di follower, pronti teoricamente a "scatenare l'inferno" in termini di acquisti al segnale dell'opinion leader. In realtà non funziona (più) così. Anche in Italia casi come il cosiddetto Pandoro Gate hanno contribuito a far calare la fiducia nei grandi nomi, percepiti come troppo lontani per essere davvero sinceri nella loro comunicazione.
Non a caso sono gli stessi operatori del settore a puntare per il futuro sui cosiddetti "micro influencer": ben il 47% del campione intervistato da Kolsquare ritiene infatti che presto saranno loro i veri protagonisti, identificando come micro tutti coloro che contano un numero di fan compreso tra 10mila e 50mila. Un'idea suffragata anche dai numeri del rapporto I-Com, che evidenzia come il 34% dei guadagni sia ormai attribuibile ai creator con 10mila/49mia follower.
Come ha spiegato ad Avvenire Linda Romani, marketing manager Italia di GetResponse, quella dei diecimila è una soglia chiave per capire il settore: "Questo limite rappresenta il punto di distinzione tra i content creator professionisti, anche se non a tempo pieno, e coloro che utilizzano i social principalmente per passione, ma con un seguito rilevante". Va infatti tenuta fuori da questa equazione la fascia ancora più piccola, quella che si muove tra i massimo diecimila e i cinquemila: per i nano influencer si prospettano infatti tempi bui, dovuti anche al fatto che entrare in quel tier sia estremamente facile mentre difficile è uscirne per fare lo step successivo. La sensazione è quella di stare in uno stagno troppo piccolo, dove una sovrappopolazione di piranha tenta di fagocitarsi quasi da sola.
Sopravvivere su internet è un lavoro duro, anche perché piattaforme diverse chiamano contenuti diversi e attirano pubblici con le loro specificità. Ecco quindi che, mentre il 53% dei creator guadagna soprattutto grazie a Instagram (dove anche un micro influencer può mettersi in tasca tra i 100 e i 300 euro per post), scendono di gran lunga i ricavi raggiunti su TikTok (14%) e YouTube (13%).
Particolare soprattutto il caso di quest'ultima piattaforma, con i creator trainanti che hanno spesso deciso di spostarsi su Twitch (lasciando al massimo a collaboratori e freeboter il compito di postare le live su YT). Sono poi emersi i cosiddetti LinkedIn influencer, una nicchia che si impegna nella diffusione di una specifica tipologia di contenuti e che spesso fanno numeri del tutto simili a quelli dei micro influencer su altre piattaforme. Il social pensato per offrire e cercare lavoro viene non a caso indicato nello studio firmato Kolsquare come principale fonte di reddito per ben il 9% degli intervistati.
Vanno poi considerate le specificità del mercato italiano, con i creator che incassano ancora principalmente da sponsorizzate e collaborazioni mentre da noi è sostanzialmente inesistente il segmento della vendita diretta dei prodotti. Come fa notare poi Romani stiamo analizzando un mercato dove tutto può cambiare con inquietante rapidità, impedendo anche agli stessi creator riflessioni sul medio/lungo termine: "L’idea che un creator possa monetizzare il proprio pubblico senza intermediari è affascinante, ma nella pratica emerge un problema: la maggior parte delle audience sono ancora "prestate" dai social media
L’illusione della visibilità: avere migliaia (o milioni) di follower non garantisce che i propri contenuti vengano effettivamente visti. L’eccessiva dipendenza dai social rende il business dei creator vulnerabile, poiché qualsiasi modifica agli algoritmi può influenzare direttamente le entrate e la stabilità del brand". C'è poi lo spettro dei virtual influencer da considerare. Una tendenza la cui emersione sarà accelerata dall’intelligenza artificiale e dalla maggior consapevolezza di un pubblico che, dopo aver accettato per anni interazioni fasulle con tanti creator, potrebbero definitivamente virare verso interlocutori dichiaratamente finti.