Una storia quasi dimenticata

È morta a 101 anni "Miss hula hoop" ed è tempo di renderle giustizia

Joan Anderson si è spenta in California, dopo che solo di recente le era stato riconosciuto il ruolo fondamentale nell'invenzione del mitico cerchio giocattolo

30 Lug 2025 - 18:08
 © Istockphoto

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Se n'è andata come ha vissuto, Joan Anderson, in punta di piedi, senza fare troppo clamore in una casa di riposo californiana. I media hanno dato notizia della sua scomparsa solo il 30 luglio 2025, dopo che erano già passati più di quindici giorni dall'effettiva dipartita. Il suo nome forse non dirà molto ma tutti almeno una volta hanno provato a destreggiarsi con quel cerchio a cui lei aveva dato un appellativo carino, quasi onomatopeico: "Hula hoop".

Non è stato dunque un uomo in giacca e cravatta, simile al Tim Robbins protagonista del bel film dei fratelli Coen Mister Hula Hoop, a portare alla massa questo passatempo tanto semplice quanto capace di provocare dipendenza (sana) a milioni di bambini in tutto il mondo. La colpa è piuttosto di una donna australiana, dalla vita tanto lunga quanto avventurosa.

Una vita avventurosa

Joan Anderson nasce a Sydney il 28 dicembre 1923 con il nome di Joan Constance Manning. Dopo una proficua carriera da modella di costumi da bagno negli Stati Uniti, si sposa con un pilota dell’aviazione conosciuto sulla spiaggia di Bondi Beach: tale Wayne Anderson, da cui prenderà il cognome dopo il matrimonio. Con il suo Wayne Joan è solita fare la spola tra gli Usa e la madrepatria e proprio nel 1956, in uno di questi periodici viaggi in Australia, rimane colpita da un gioco che va forte tra le bambine di quelle parti: un cerchio di legno da far ondeggiare all'altezza dei fianchi. Joan ne intuisce subito il potenziale e chiede a sua madre di spedirgliene un esemplare a Los Angeles.

Poi una volta tornata negli States organizza assieme al marito un incontro con Arthur “Spud” Melin, cofondatore dell'azienda di giocattoli Wham-O. Quest'ultimo incontra Joan nel parcheggio della sede della sua piccola impresa, ancora lontana dal trasformarsi nel colosso che diventerà in futuro. Anderson propone a Melin di commercializzare la sua scoperta col nome di hula hoop, citando apertamente il famoso ballo hawaiano "hula".

ono tutti entusiasti dell'idea, c'è una stretta di mano e l'uomo promette a Joan che divideranno al 50% i proventi della sua trovata, non appena quest'ultima verrà venduta in tutta America: "Se farà soldi per noi, ne farà anche per voi", sembra abbia detto Spud alla sua interlocutrice prima di lasciare il parcheggio. Nel 1963 la Wham-O brevetta effettivamente il cerchio, proprio col nome hula hoop, e inizia a farlo girare per tutta l'America: il giocattolo viene distribuito persino nelle scuole e in pochissimo tempo diventa una moda di successo in ogni parte del Paese. Nascono addirittura le competizioni con l’attuale record di durata (ben 90 ore) che verrà stabilito nel 1987 dalla statunitense Roxann Rose.

Ci sono tutti gli elementi per raccontare una gran bella storia di successo, di quelle che piacciono tanto negli Stati Uniti, se non fosse che a un certo punto da questa storia viene cancellato il nome della vera protagonista. L'hula hoop diventa un simbolo ma del contributo di Joan Anderson a quel successo per anni non si saprà mai nulla.

Il "cerchio" si chiude

  Anderson a lungo verrà citata al massimo solo di sfuggita, si parlerà di lei come di una "amica australiana" senza nome, almeno fino a quando non ci provano i figli della donna a cercare giustizia per lei. L'azienda (che già era stata senza fortuna denunciata dagli Anderson) ovviamente non ci sta e fa sapere che la moda è stata solo una passione passeggera, che ci sono interi magazzini pieni di hula hoop e non c'è nulla di cui gli eredi di Anderson dovrebbero vantarsi: si ritengano fortunati se la Wham-O non gli chiede i danni, piuttosto. 

La vera storia della genesi di quel cerchio magico diventa però, anche grazie a quelle schermaglie legali, piano piano sempre più conosciuta, fino ad arrivare alle orecchie dei registi Amy Hill e Chris Riess. Sono a quel punto questi ultimi a decidere di lavorare sulla figura di Joan Anderson, dedicandole un intero documentario che nel 2018 esce nelle sale col titolo di Hula Girl. La protagonista di questa fatica cinematografica è arrivata ormai a contare ben 94 primavere ma comunque ha ancora abbastanza energie per volare fino a New York, dove la pellicola viene presentata al Tribeca Film Festival.

Sembra il sospirato lieto fine per l'arzilla vecchietta, che racconta a giornalisti e addetti ai lavori di avere ancora il primo prototipo della sua invenzione, quello che aveva spedito alla madre negli Stati Uniti. Giura addirittura di usarlo ancora ogni tanto, tra lo sgomento generale di chi vorrebbe avere i fianchi bionici di questa signora in piena forma. Raggiunto dalla BBC Reiss, uno dei due registi che ha realizzato il documentario sulla vita di Joan, ha ricordato quell'esperienza: "Raccontare la sua storia è stata un'esperienza davvero gratificante. Aveva 94 anni quando ci siamo incontrati e nonostante l'ingiustizia che aveva subito aveva vissuto una vita meravigliosa e piena. Vederla finalmente ottenere il riconoscimento che meritava dopo tutti quegli anni è stato incredibile".

Ora, dopo più di un secolo su questa Terra, Miss Anderson lascia il suo cerchio magico agli eredi (una figlia e sei nipoti), conscia di aver fatto divertire (e un po' anche arrabbiare) diverse generazioni. Tanti infatti, nonostante l'impegno profuso, non sono mai riusciti a far roteare nella maniera giusta l'hula hoop. Un fallimento che, proprio all'inizio di quest'anno, è stato spiegato e in parte giustificato addirittura dalla scienza. Qualche mese fa infatti un gruppo di fisici dell'Università di New York, dopo aver condotto alcuni esperimenti con la robotica, ha concluso che non è colpa nostra se non riusciamo a tenere quel cerchio sui fianchi: potrebbe piuttosto essere il nostro corpo a non essere strutturalmente adatto all'impresa. 

"Le persone hanno molti tipi di corpo diversi: alcune hanno determinate pendenze e curvature in corrispondenza di fianchi e vita, altre no – ha sottolineato lo scienziato che ha coordinato lo studio, Leif Ristroph –. I nostri risultati potrebbero spiegare perché c'è chi è nato per fare l'hula hoop e chi invece sembra dover faticare molto di più". Insomma, un po' come nella vita, la ruota gira e non sempre nel modo che vorremmo ma, se la storia di Joan Anderson ci insegna qualcosa, è che a volte bisogna solo aspettare finché tutto non riprenda a ruotare dal lato che vorremmo. "Il mondo non è giusto. Ma la vita va avanti", riassumeva la "signora hula hoop" nel documentario a lei dedicato e forse aveva ancora una volta ragione.

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