UNO SGUARDO DENTRO LA RUSSIA

Ucraina, ecco perché Putin ha scelto di parlare con Trump di negoziati e tregua

Il presidente russo deve affrontare le pressioni interne da parte di fazioni divise su guerra e trattative: un "partito della pace" e un gruppo di dirigenti ancora più "a destra". Lo scontro fra la narrativa ufficiale e l'estremismo "libero" su Telegram

di Maurizio Perriello
21 Mag 2025 - 00:09
 © Afp

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Vladimir Putin si è deciso a parlare con Donald Trump per avviare negoziati "veri" con l'Ucraina. Dalle nostre parti la chiamata tra i due presidenti è stata celebrata come una notizia inaspettata e promettente per un futuro di pace. Senza escludere che si possa trattare dell'ennesima mossa retorica per prendere tempo e proseguire lo stallo del conflitto. In Russia però ci sono altri fattori che influiscono sulla politica estera del Cremlino: l'opinione interna dei russi profondi (sempre più stanca), un "partito della pace" (tutt'altro che neutralista) e un gruppo di oligarchi e dirigenti più "a destra" del presidente stesso. Li chiamano i "turbo-patriottici". Con Putin in mezzo a fare da arbitro, più fulcro di una ragnatela che vertice di una piramide. Intanto sempre più giovani, cioè quella fetta anagrafica da mandare al fronte, si informano su Telegram invece che dalla televisione o la radio come i loro genitori e nonni, uniche due fonti di informazione lontano dalle metropoli. E sul social russo la retorica si fa decisamente più estremista, soprattutto nell'opposizione a qualunque compromesso coi "fratelli traditori" ucraini. Il che rappresenta un'ulteriore grande incognita per il Cremlino.

La propaganda russa tra media ufficiali e Telegram

 Quando l'Italia faceva ancora le guerre, si diceva: "Taci, il nemico ti ascolta". Tempi infausti, ma complementari a quelli odierni in Russia. I media ufficiali e i giornali ripropongono la retorica del Cremlino ed evitano di fornire notizie demoralizzanti o troppo negative riguardo l'operazione militare speciale in Ucraina. La propaganda governativa interna ha finora dipinto la difesa "esterna" della patria russa in Ucraina, come contro Napoleone e i nazisti, come necessaria a contenere l'offensiva dell'Occidente euro-americano. Adesso le cose sono però un po' cambiate. Lo stop all'avanzata della Nato tramite il Paese invaso viene data per acquisita. Serve un'impostazione che convincesse migliaia di giovani soldati a trasferirsi al confine con la Finlandia, per proteggere il fianco in comune con la Nato ed evitare una "seconda Ucraina". Serve tranquillizzare la sempre più ampia fetta di popolazione stanca dei sacrifici imposti dalla guerra. Serve un disgelo con Europa e Stati Uniti per aprire i mercati russi anche verso Ovest, evitando che la Cina si pappi tutto il meglio che Mosca ha da offrire (idrocarburi, grano e materie prime) ma a prezzo scontato e a rate.

Chi vuole la "pace" in Russia

 Iniziamo col dire che la "pace" in Russia non la vuole nessuno. Non per come la intendiamo noi, almeno. Col termine "partito della pace" (Партия мира, "Partiya mira") in Russia si intende un gruppo di politici, oligarchi e decisori che vogliono riaprire parzialmente all'Occidente per evitare di finire preda della Cina, vogliono un cessate il fuoco con Kiev (sempre a vantaggio di Mosca, ovviamente) e l'introduzione di una nuova versione degli accordi di Minsk. Non si tratta affatto di "occidentalisti", come spesso sono stati descritti qui da noi, ma sempre e comunque di patrioti che però propongono una ricetta meno estrema rispetto ai cosiddetti "statalisti" duri e puri. Tra le loro fila troviamo un nome sorprendente, a testimonianza di quanto non esiste un partito "contro" la guerra in Russia: Dmitry Peskov. Proprio lui, il portavoce più violento che leggiamo sui media, fedelissimo di Putin. Ma anche Vladimir Medinsky, ministro della Cultura e capo negoziatore inviato dal presidente stesso a fare gli interessi di Mosca nelle trattative. Allora il cerchio si chiude: Putin stesso ha necessità di dare l'impressione di volere la pace. Cioè di sostenere un ordine multipolare a guida russa ma cooperante con altre potenze, in opposizione all'idea degli statalisti che solo una svolta ancora più dura potrà riportare la Russia alla grandezza imperiale perduta.

Chi vuole la guerra in Russia

 Per lo stesso ragionamento, se proprio non la "vogliono", la guerra in Russia la giustificano quasi tutti. È stato l'estremo tentativo di "smascherare il bluff occidentale", con gli Usa manovratori da remoto di un'avanzata della Nato contro la Russia. Propaganda contro propaganda. "Colombe" per la pace contro "falchi" per la guerra. Lo scontro pubblico tra le due fazioni è esploso quando Medinsky e Peskov hanno iniziato a fare pressioni per la conclusione "al più presto possibile" di accordi di pace a condizioni che vadano bene un po' per tutti. Il punto più criticato riguarda la proposta dei "pacifisti" sullo status della Crimea, che resterebbe parte della Russia per "soli" 25 anni. Non per sempre. "Non faremo alcuna concessione, il signor Medinsky ha commesso un errore", ha affermato uno di quelli che vogliono la guerra come unica via per primeggiare nel mondo. Uno che conosciamo bene: Ramzan Kadyrov, leader paramilitare della Cecenia russa e generale molto influente soprattutto nel bacino caucasico, dal quale l'esercito russo ha pescato a piene mani per rimpolpare le truppe inviate in Ucraina. Su canali Telegram interventisti la retorica si fa ancora più violenta nei confronti di altri dirigenti della Federazione. Peskov in primis, il quale - dicono i "turbo-patriottici" - "sotto Stalin sarebbe già stato castrato" per aver proposto un compromesso con gli ucraini.

Putin sotto pressione

 Anche se non esplicitato pubblicamente, vertici politici e oligarchi e popolazione non dimenticano cosa è successo in questi tre anni e passa di guerra in Ucraina. Anzi, cosa non è successo. Perché in questo lunghissimo periodo in cui sono morte centinaia di migliaia di persone, l'esercito russo non è riuscito a centrare nessuno degli obiettivi militari a breve-medio termine che si era preposto. All'inizio era fallita la guerra lampo che mirava a un rovesciamento del regime politico di Kiev, sostituendolo con uno allineato col Cremlino. Poi le quattro regioni ucraine annesse unilateralmente da Mosca non sono state completamente occupate nella loro interezza. Anche il piano per smilitarizzare l'Ucraina è fallito, visto che le Forze armate di Kiev hanno ricevuto più armi dall'Occidente e hanno visto la mobilitazione e l'arruolamento di nuove leve.

Perché Putin ha interesse nel prolungare la guerra in Ucraina

 Un cessate il fuoco raggiunto in tempi brevi potrebbe creare dolorose tensioni per il regime putiniano in patria. Se il conflitto venisse infatti congelato alla situazione attuale, la Russia non avrebbe alcun appiglio per dichiarare una vittoria schiacciante. Ma neanche una vittoria che giustifichi l'immane sacrificio umano e socio-economico pagato dalla popolazione, specie delle repubbliche etniche e periferiche, in oltre tre anni di combattimenti. Non ci sarebbe propaganda che tenga, la verità sarebbe sotto gli occhi di tutti: Putin avrebbe siglato una tregua senza essere riuscito ad annientare la resistenza ucraina. E un uomo forte che ha iniziato e chiuso una guerra senza vincerla, mostra debolezza e smette di incutere timore. Una situazione che avvantaggerebbe quegli "statalisti" e quelle élite più insoddisfatte a chiedere od organizzare un cambio di regime. Il pericolo per Putin arriverebbe anche dai vertici militari e dai sostenitori ideologici della guerra, che bolleranno il presidente come un "nemico" e un "traditore". Con tutte le conseguenza del caso sull'ordine pubblico. La mancanza di vittoria alimenterebbe l'insoddisfazione anche di un'importante sezione delle Forze armate russe: i veterani, ai quali Putin aveva promesso il potere come nuovi dirigenti dell'esercito. Un copione già visto e dunque carico di tensione: già i veterani della fallita guerra in Afghanistan restarono a mani vuote, a fare i conti con depressione, partecipazione a organizzazioni criminali e alcolismo. Una bomba a orologeria ticchettante a un palmo dalle orecchie del capo del Cremlino.

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