Il calciatore aveva 41 anni e aveva segnato più di cento gol in carriera, riuscendo anche a portare la sua nazionale in Coppa d'Asia
di Manuel SantangeloA oggi, secondo la Federazione palestinese, sarebbero in totale 662 i membri della comunità sportiva uccisi a Gaza. L'ultima vittima tra loro si chiamava Suleiman Obeid ma molti lo conoscevano solo attraverso i suoi magniloquenti soprannomi: Suleiman era per tutti "il Pelé palestinese" o in alternativa "la perla nera".
Qualcuno addirittura aveva provato l'accostamento col francese ex Arsenal Thierry Henry, cui somigliava abbastanza nelle movenze eleganti, almeno a giudicare dalle immagini che si trovano in rete. Una bella storia di sport in mezzo alle macerie, quella di Suleiman Obeid, che però si è fermata presto nell'inferno di Gaza.
Prima di lui, a perdere la vita nel conflitto con Israele Rashid Dabour, difensore 28enne della squadra palestinese Al-Ahli Beit Hanoon, ucciso in un raid aereo. Shadi Sabah, è invece morto con la sua famiglia durante il bombardamento del palazzo in cui viveva. Sono solo alcuni dei giocatori di una macabra lista. Il commentatore Khalil Jadallah su Al-Jazeera era addirittura riuscito a tirare fuori, a fine 2024, una formazione dei migliori calciatori scomparsi durante la guerra.
A 41 anni Obeid non era più l'idolo locale, quello che distraeva almeno per novanta minuti la sua gente da una vita difficile. Il 6 agosto Suleiman era solo un uomo, che si era avventurato in quello che è diventato uno dei posti più pericolosi del mondo, lo stesso in cui era cresciuto. Cercava cibo, ha trovato la morte. È stato ucciso in un attacco israeliano contro i civili in attesa di aiuti umanitari nel sud della Striscia. A darne notizia per prima con un comunicato è stata proprio la PFA (Palestine football association), definendolo nel triste comunicato "una delle stelle più brillanti del calcio palestinese". E lo era per davvero.
Suleiman Obeid era nato nel 1984 proprio tra quelle strade di Gaza City che mai hanno trovato pace e ormai viveva lì, cercando soprattutto di proteggere la moglie e i cinque figli come poteva. Erano lontani gli esordi conditi da tanti gol col Khadamat (la squadra della sua città), così come il periodo d'oro della carriera con l'Al-Amari Youth Center, trascinato alla vittoria del campionato della Cisgiordania nel 2010.
Era un eroe minore del pallone, "la gazzella" (un altro dei suoi soprannomi), ma si era fatto amare dovunque, diventando anche profeta in patria. Vinse la Scarpa d'Oro del campionato per tre stagioni consecutive: dal 2015/16 al 2017/18 con la maglia del Gaza Al-Riyadi, prima di chiudere il cerchio di nuovo dove tutto era iniziato, al Khadamat, sul campo dove aveva iniziato ad allenare quello scatto bruciante con cui seminava i difensori. E poi la nazionale, con quelle 24 presenze ufficiali che rappresentavano una conquista non solo sportiva e non solo per lui. Con quella maglia così sudata (in tutti i sensi) segnò pure una rete tanto importante quanto abbacinante nella sua bellezza: una spettacolare rovesciata contro lo Yemen che arrivò nel 2010 a uscire anche dai confini dove lui era stato costretto, perdendo oltretutto delle opportunità per sfondare.
La carriera di Suleiman Obeid sarebbe probabilmente più ricordata se non fosse stato, oltre che per il luogo in cui è nato, anche per il momento in cui è vissuto: ha infatti aiutato la Palestina a diventare una nazionale rispettata e credibile, senza tuttavia poter partecipare agli ultimi momenti storici, che hanno aiutato a portare la causa palestinese anche sui campi da calcio. Suleiman ha infatti avuto un ruolo fondamentale per la prima leggendaria qualificazione dei suoi a una Coppa d'Asia, senza tuttavia riuscire a partecipare poi alla rassegna nel 2015.
Stesso destino anche nel 2024, quando la Palestina arrivò addirittura agli ottavi della competizione continentale. In entrambi i casi la squadra era senza il suo Pelé ma non certo per ragioni strettamente calcistiche o legate alla personalità dell'attaccante. Nessun rapporto teso di Obeid con il selezionatore o con la federazione, il motivo era molto più serio e, come prevedibile, legato a motivi molto più importanti di quelli legati a un pallone che rotola.
Da anni ormai infatti la Nazionale palestinese deve fare a meno dei giocatori di Gaza, impossibilitati a uscire dalla Striscia. Per trovare l’ultimo giocatore convocato che viveva a Gaza si deve risalire ormai al dicembre 2021, quando il portiere Abduallah Shaqfa venne chiamato per la Coppa Araba. Da allora più nulla, se si eccettuano i gazawi che militavano già in campionati fuori dalla Striscia come Mohammed Saleh, che nel 2024 giocava in Malesia.
Saleh è rimasto famoso per quel pianto a dirotto dopo il fischio finale di Palestina-Hong Kong 3-0. La partita che ha portato per la prima volta la Palestina agli ottavi. Saleh l'ha festeggiata ricordando ovviamente il suo popolo e quanto fosse stato "difficilissimo allenarsi per questo torneo, e poi giocare, senza sapere le reali condizioni dei propri cari".
Suleiman Obeid ascoltò queste parole proprio da Gaza dove, nonostante avesse quasi raggiunto i quarant'anni, ancora giocava. Nonostante la retrocessione del Khadamat nel 2021/22, non aveva abbandonato il club. A settembre 2023 disse di non pensare ancora al ritiro, forse spaventato da una vita senza nemmeno la fissazione del gol a distrarlo: "Aiuto ancora la mia squadra e sono rimasto titolare sotto la guida di diversi allenatori", disse orgoglioso, preparando forse un futuro da allenatore nel suo club.
Poi è arrivato quel fatidico 7 ottobre e tutto è cambiato, anche per lui. I campi da calcio sono diventati obiettivi sensibili per l'esercito israeliano, convinto che gli impianti sportivi fossero ormai usati come magazzini o basi di lancio per missili. Nel 2024, mentre la Palestina giocava la sua Coppa d'Asia, è stato quindi distrutto anche lo stadio Yarmouk, il più antico e importante di Gaza, trasformato ormai in un centro di detenzione per terroristi o presunti tali. La Striscia, come tutti i posti tristi del mondo, restava anche senza sport.
Dopo aver eliminato i teatri della grande commedia del calcio poi, Israele ha iniziato a farne fuori gli attori. Solo tra luglio e agosto se n'è andata un'intera squadra con tanto di riserve, 14 giocatori: da Mahrez Abu Awda a Suleiman Obeid. Il tutto mentre un altro attaccante (Shon Weissman), stavolta israeliano e con un passato anche nelle file della Salernitana, ha dovuto rinunciare a un ingaggio dai tedeschi del Fortuna Dusseldorf dopo una rivolta popolare: nessun tifoso voleva gioire per i gol di un giocatore che, nel 2023, si chiedeva sui social cose come: "Perché non sono state ancora sganciate 200 tonnellate di bombe su Gaza?” o “perché diavolo non gli sparano in testa?”.
La Bundesliga farà quindi a meno di Shon Weissman, il calciatore che voleva che "Gaza sparisse dalle mappe". I tedeschi se ne faranno una ragione, meno dei figli di Suleiman Obeid, attaccante ma soprattutto uomo scomparso purtroppo non solo dai campi. "Il calcio è strano", diceva qualcuno. Ma la vita lo è di più.