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Puntualità: è ancora da considerare una virtù?

Anche se per molti è segno di creatività, essere ritardatari non è un buon biglietto da visita

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Vediamoci alle 3 del pomeriggio. Qualcuno si annoterà l’appuntamento sull’agenda elettronica, magari con tanto di promemoria, e si presentare allo scoccare dell’ora. Qualcun altro invece si ricorderà dell’impegno solo pochi minuti prima dell’ora X e si farà vivo fuori tempo massimo. I due atteggiamenti nei confronti della puntualità rivelano quanta considerazione abbiamo nei confronti della persona che dobbiamo incontrare, ma anche alcuni aspetti del nostro carattere e del modo in cui percepiamo lo scorrere del tempo. In ogni caso, ricordiamoci che il tempo è denaro e che non tener fede ai propri orari è un pessimo biglietto da visita. 

RIGIDITÀ VS CREATIVITÀ – Secondo gli psicologi, una puntualità molto rigorosa denota una forma mentale organizzata e pragmatica, ma anche un atteggiamento tendenzialmente rigido. Una mente molto creativa, al contrario, tende a una maggiore flessibilità e quindi a una certa elasticità nella gestione del tempo. Spesso, persone di questo genere si lasciano assorbire totalmente dalle attività in cui sono impegnati (anche due o tre contemporaneamente) e hanno una percezione dilatata degli intervalli di tempo a loro disposizione. La State University di San Diego (USA ha condotto uno studio da cui risulta che, nella mente dei “ritardatari seriali” un minuto di tempo dura in realtà 77 secondi. Questo li porta a ritenere più lungo il tempo a loro disposizione, salvo poi a ritrovarsi in perpetuo ritardo. 

 

PUNTUALE O RITARDATARIO CRONICO? – Il fatto di spaccare il minuto, o addirittura presentarsi in anticipo sull’orario concordato, o al contrario essere in perpetuo ritardo, è innanzi tutto un fatto di buona educazione. Essere puntuali significa che attribuiamo valore al nostro tempo, ma soprattutto a quello di chi dobbiamo incontrare.  Il fatto di attenersi agli orari concordati è però anche indice di un modo più generale di intendere il tempo. Secondo alcuni studi sociologici, esistono culture del ritardo e culture della puntualità. Queste ultime, secondo l’economista Adam Smith, sono fondate sul commercio e considerano il valore del tempo pari a quello del denaro. In altre società, tra cui quelle latine, si dà maggiore importanza al sistema dei privilegi e quindi il rapporto con il tempo è più rilassato. Non a caso, in Spagna, Grecia e in larga parte dell’Italia centro meridionale, quando ci si dà un appuntamento, l’orario è poco vincolante. I due sistemi funzionano bene finché non entrano in contatto uno con l’altro: in questo caso è meglio prendere accordi precisi per evitare lunghe attese e malumori. 

 

LA PUNTUALITÀ NEL MONDO – La percezione del tempo, e quindi la tolleranza nei confronti degli orari stabiliti, è dunque un fatto anche culturale. Nei Paesi Arabi, in Brasile e negli Stati del Sud negli USA, vedersi alle 6 significa avere un impegno ad un certo punto del tardo pomeriggio.  In Occidente, invece, il tener fede agli orari personali e professionali è di solito considerato importante e i ritardi oltre un certo limite sono malvisti. In Europa si registrano differenze significative da Paese a Paese; in Germania, ad esempio, la puntualità è una forma mentale al limite della rigidità nei rapporti sociali; pochi minuti di ritardo generano irritazione e soprattutto disorientamento. Altrettanto ligi agli orari sono i Britannici, i quali però considerano il ritardo come una grave mancanza di rispetto. Per gli Olandesi, invece, a causa di radicati retaggi culturali legati alla sfera della produttività, il tempo è denaro e quindi una dilazione anche solo di cinque minuti è considerata un fatto intollerabile, davanti al quale non esitano ad esprimere con fermezza il loro disappunto. E in Italia? Le regioni settentrionali sono più vicine al modello europeo, con maggiore rigore della scansione del tempo, mentre da Roma in giù prevale l’atteggiamento mediterraneo, più incline al rilassamento. 

 

PUNTUALI: COME E PERCHÉ – Ci sono situazioni in cui la puntualità non è una semplice cortesia ma un vero obbligo: presentarsi in ritardo al gate dell’aeroporto significa perdere il diritto di imbarco su un volo pagato probabilmente fior di soldi.  Ai colloqui di lavoro, specialmente se l’obiettivo è un’assunzione, il fatto di presentarsi in orario è indice di una mente organizzata ed efficiente. In questi casi, meglio evitare anche l’eccessivo anticipo: potremmo trasmettere l’idea di essere ansiosi e insicuri, oppure di non saper sfruttare appieno il tempo a disposizione, dato che ne destiniamo una certa quota all’attesa: in questo caso i classici dieci minuti di anticipo sono l’ideale. Per ricordare e gestire gli impegni è sempre un buon sistema utilizzare la classica agenda, anche elettronica e con gli opportuni segnali di avviso. Il multitasking va vissuto con moderazione: ormai è dimostrato che assolvere a troppi compiti contemporaneamente è poco produttivo e può far “saltare” le tempistiche. Impariamo anche a calcolare i tempi in modo oggettivo, a cominciare da quelli necessari agli spostamenti e dalla logistica. Valutiamo anche l’eventuale presenza di ragioni profonde che ci spingono a non essere puntuali: vogliamo per qualche motivo rivalerci sulla persona che costringiamo ad attendere e siamo in ritardo per “vendetta”?

 

E SE SIAMO COSTRETTI A FARE ANTICAMERA? – È una vecchia consuetudine dura a morire, in cui il tempo è utilizzato come segno di potere. Costringere le persone a lunghe attese in anticamera è un modo per esprimere la propria superiorità e per mostrare quanto numerosi siano gli impegni di chi ci fa aspettare. Per fortuna è un’abitudine che tende a scomparire: il ritardo cronico sulla tabella di appuntamenti è ormai visto come segno di cattiva organizzazione. In una società come la nostra, oramai, l’unica persona il cui ritardo è considerato segno di eleganza ed è visto con simpatia, è la sposa nel giorno delle nozze. Ma anche in questo caso, meglio non farsi aspettare più di un quarto d’ora. 
 

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