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Claustrofobia: come affrontare la paura degli spazi chiusi

Un’angoscia che può condizionare la vita quotidiana in modo importante: che cosa si può fare, come superarla o almeno gestirla

Claustrofobia: come affrontare la paura degli spazi chiusi - foto 1
Istockphoto

La claustrofobia, ovvero la paura degli spazi ristretti, è un’ansia che condiziona pesantemente chi ne soffre: prendere l’ascensore, percorrere un tunnel in autostrada e sottoporsi a certi esami medici come la risonanza magnetica possono trasformarsi in momenti di vera tortura.

Può essere una sfida complessa da affrontare, ma con il giusto aiuto e il supporto di chi ci sta vicino, non è impossibile venirne a capo o, per lo meno, gestire la paura in modo da non essere troppo limitati nella vita quotidiana.

CHE COS’È LA CLAUSTROFOBIA – Il suo nome deriva dal latino "claustrum", che significa luogo chiuso, e dal greco "phobos", che vuol dire fobia, paura. Chi soffre di questo disturbo ha timore di trovarsi rinchiuso, e quindi degli spazi angusti come stanze senza finestre o di piccole dimensioni, ascensori, sotterranei, metropolitane e posti affollati: in generale il soggetto si sente in ansia in tutte le situazioni in cui si percepisce privo di spazio libero intorno a sé. È di solito considerata l'opposto dell'agorafobia, ovvero timore degli spazi aperti, con la quale però condivide i sintomi generali: panico, sensazione di soffocamento, urgenza di fuggire dalla situazione. La paura degli ambienti ristretti è una delle paure archetipe, legate cioè all’istinto di sopravvivenza. Le cause non sono ancora non sono ancora del tutto conosciute: nella maggior parte dei casi, il problema sembra legato a fatti traumatici avvenuti in passato, spesso nella prima infanzia, e associati a un ambiente angusto. Secondo alcune ricerche scientifiche alla base della claustrofobia potrebbe esserci un malfunzionamento dell'amigdala, un'area del cervello appartenente al sistema limbico, capace di influenzare il senso di percezione del pericolo.

 

I SINTOMI DELLA CLAUSTROFOBIA – Le manifestazioni di questa fobia sono simili a quelle di tutte le altre fobie: paura intensa e senso di panico, difficoltà a respirare, sudorazione fredda, vertigini e nausea, e soprattutto impulso irrefrenabile a fuggire per timore di morire. I sintomi fisici collegati al trovarsi in uno spazio angusto segnalano il verificarsi di una risposta anormale a livello emotivo e riportano alla reazione primaria "combatti o fuggi". La mente, cioè, interpreta la situazione come una minaccia estrema e prepara il corpo a lottare per la sopravvivenza. Poco importa che il pericolo non sia reale: il soggetto claustrofobico vive l’esperienza come una situazione nella quale non ha via di scampo e cercherà di evitare a ogni costo le occasioni nelle quali può scatenarsi la fobia: ad esempio preferirà salire sei piani di scale a piedi piuttosto che prendere l’ascensore e rinuncerà ad andare in vacanza se il viaggio richiede uno spostamento in aereo o su una strada trafficata e con molti tunnel. 

CURARE O GESTIRE LA CLAUSTROFOBIA - La paura degli spazi chiusi può essere un fenomeno passeggero, legato a momenti particolari di stress e affaticamento generale, e quindi risolversi spontaneamente. Quando però si manifesta come un disturbo molto invadente, o addirittura invalidante, deve essere affrontato con l'aiuto di uno psicoterapeuta che individuerà le possibili radici del disturbo e aiuterà ad affrontare gli stimoli fobici e l'ansia che ne deriva. Possono essere molto utili le tecniche di rilassamento e di respirazione, la meditazione e un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale, nel quale il paziente è guidato nell’apprendere le tecniche più efficaci per razionalizzare la propria paura morbosa e per reagire ai pensieri ansiogeni e le convinzioni negative associate agli spazi chiusi. Il medico può anche prescrivere una terapia farmacologica che aiuti a controllare i sintomi più acuti associati al disturbo. Un approccio che può dare buoni risultati è l'esposizione controllata alle situazioni che scatenano la fobia, fino a ottenere una migliore gestione degli attacchi di paura. La persona viene cioè esposta in modo graduale e ripetuto nel tempo alle condizioni che scatenano l'attacco di fobia: ad esempio il soggiorno in una piccola stanza, ma con le finestre aperte, o un viaggio in ascensore, ma per un solo piano, in modo che impari ad affrontare le sensazioni negative associate ai piccoli spazi.

 

CHE FARE SE CI COGLIE UN ATTACCO DI CLAUSTROFOBIA – Un viaggio in ascensore, una galleria intasata dal traffico, un treno della metropolitana affollato: le situazioni in cui può scatenarsi un attacco di claustrofobia sono numerosissime. Ecco qualche suggerimento per gestire una crisi di ansia da spazi ristretti:
- facciamo ogni sforzo per non cedere al panico e per mantenere il controllo della situazione; 
- ripetiamo a noi stessi che non sta accadendo nulla e che possiamo farcela; 
- respiriamo lentamente e profondamente, ripetendo a noi stessi che tutto passerà presto;
- chiudiamo gli occhi e concentriamoci su un pensiero positivo;
- sistemiamoci il più comodamente possibile, cercando di mantenere i muscoli rilassati;
- se le crisi si ripetono spesso, chiediamo l’aiuto del medico o di uno psico terapeuta. 

COME AIUTARE UNA PERSONA IN PREDA A UN ATTACCO – Come possiamo comportarci se ci rendiamo conto che una persona in nostra compagnia è in preda ad un attacco di claustrofobia?
- Restiamo calmi ed evitiamo le frasi come: “non esagerare” o “è tutto nella tua testa”: sono inadeguate e offensive, chi è in preda al panico sta male realmente e merita tutto il nostro rispetto; 
- parliamo in tono rassicurante, ricordando alla persona che tutto passerà presto;
- cerchiamo di creare spazio intorno al soggetto, ad esempio chiedendo alle persone vicine di spostarsi un poco per lasciare aria a chi si sente male;
- invitiamo il soggetto a respirare lentamente e facciamolo con lui; 
- cerchiamo di evocare una situazione positiva su cui concentrare l’attenzione. 
- evitiamo le discussioni: a volte chi è in preda al panico diventa scortese e persino aggressivo
- conserviamo un atteggiamento comprensivo ed empatico e non lasciamo da sola la persona finché, alla fine dell’attacco, non si è completamente ripresa. 

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