La tendenza a stigmatizzare e colpevolizzare le donne per le loro scelte sessuali o affettive è un fenomeno sempre pù diffuso e insidioso. Ecco i dati, le conseguenze e perché è necessario un cambiamento culturale
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Di essere giudicata "perché ho avuto quattro figli da tre uomini diversi" dal medico che la stava assistendo durante il parto "non me lo aspettavo. Ma è un giudizio al quale sono purtroppo abituata". Con questo racconto, tratto dal suo libro Il tralcio alla vite, l'attrice Nicoletta Romanoff ha riportato alla luce un episodio che va oltre il semplice aneddoto personale: rappresenta il segno tangibile di quanto il pregiudizio e il moralismo sulle scelte affettive e familiari delle donne siano ancora profondamente radicati.
Il caso non è isolato. Dietro le polemiche si nasconde un fenomeno ben più ampio e insidioso: lo slut shaming, ovvero la tendenza a stigmatizzare e colpevolizzare le donne per le loro scelte sessuali o affettive. Questo comportamento si fonda su un doppio standard sessuale ancora radicato in molte culture, compresa quella italiana: ciò che per un uomo è motivo di ammirazione (avere più partner, più figli da relazioni diverse) per una donna diventa motivo di vergogna e biasimo.
La rete, purtroppo, amplifica questi atteggiamenti. Secondo il Report 2023 sui discorsi d'odio online di Amnesty International Italia, il 47% dei commenti d'odio monitorati su Facebook e Twitter ha preso di mira donne, con una netta prevalenza di attacchi a sfondo sessista o misogino. Il 35% dei contenuti offensivi colpiva le donne proprio in relazione al loro aspetto fisico o alla loro sfera sessuale.
Il fenomeno è confermato anche da WeWorld Onlus, che nel suo report 2023 sulla violenza digitale ha sottolineato come il 63% delle giovani italiane tra i 18 e i 24 anni abbia subito molestie o offese online di natura sessuale o sessista. Un dato che cresce ulteriormente nelle fasce adolescenti, dove il body shaming e lo slut-shaming sono forme di bullismo digitale sempre più diffuse.
Come evidenzia il sito InGenere.it, la violenza digitale non è altro che un'estensione di quella offline: stereotipi di genere, sessismo e slut-shaming riflettono disuguaglianze ancora presenti nella società. L'odio si concentra molto spesso sulle donne che esprimono opinioni pubbliche, che mostrano indipendenza o libertà nella vita privata.
Anche i dati europei confermano questa tendenza. L'EIGE (Istituto Europeo per l'Uguaglianza di Genere) segnala che il 75% delle donne in posizioni pubbliche ha subito molestie o minacce online, molte delle quali a carattere sessista o sessuale.
Diversi studi accademici recenti aiutano a delineare il quadro dello slut-shaming come fenomeno sociale diffuso e dannoso. Uno studio condotto dall'Università di Palermo nel marzo 2025, "Finché le cose non andranno meglio", ha evidenziato come il giudizio morale sulle scelte affettive e sessuali delle donne sia ancora largamente presente, con effetti negativi sul benessere psicologico delle vittime.
Un'altra ricerca, pubblicata su Sexuality & Culture nel dicembre 2023, ha analizzato i percorsi di autodeterminazione di giovani adulti tra i 19 e i 28 anni, sottolineando come lo slut-shaming sia una forma di ostracismo che colpisce profondamente l'autostima e la percezione di sé.
Secondo quanto riportato da Psychology & Sexuality, i fattori psicologici alla base dello slut-shaming sono la pressione sociale, le norme di genere e gli stereotipi sessuali. Infine, uno studio francese del 2021 pubblicato sull'International Journal of Environmental Research and Public Health ha mostrato come il 14% degli adolescenti abbia subito slut-shaming almeno una volta, con un forte legame tra questi episodi e disturbi come ansia e depressione.
Lo slut-shaming e la violenza digitale hanno conseguenze concrete e gravi. Secondo Amnesty, il 30% delle donne vittime di hate speech online riduce la propria presenza sui social o si autocensura. WeWorld parla apertamente di un aumento di ansia, depressione e isolamento sociale tra le ragazze che subiscono slut-shaming o molestie digitali.
Contrastare il fenomeno dello slut-shaming non significa solo denunciare gli episodi e tutelare le vittime, ma anche promuovere un cambio culturale. Serve educazione affettiva e digitale, serve che le piattaforme social si assumano responsabilità più concrete nel moderare i contenuti offensivi. E serve, soprattutto, una società che smetta di giudicare le donne sulla base della loro vita sessuale o sentimentale.