Ritmi vintage e familiari su testi sconci e vietati ai minori. Le hit dell'etichetta fittizia che sta spopolando su Spotify e sui social ci dicono molto sullo stato della musica italiana oggi
di Manuel Santangelo"A Marzo del 2025, nelle soffitte di una villa sui colli senesi – a seguito dell'improvvisa morte del suo eminente e misterioso proprietario – sono stati ritrovati alcuni bauli contenenti la discografia completa e le carte segrete di Cantoscena: vinili, nastri, video e foto d'epoca, diari personali, documenti ufficiali e appunti rimasti nascosti per decenni, al riparo da occhi e orecchie indiscrete". Bella storia vero? Peccato solo che, alla fine della descrizione del video su Youtube, arrivi il classico disclaimer: "Ogni somiglianza con persone esistenti o esistite è puramente casuale". Tutto frutto della fervida fantasia di un autore misterioso. Eppure i brani di Gina Gocci, Rossella e Vera Luna sembrerebbero davvero venire fuori da un catalogo dimenticato, di cui sono sopravvissuti in qualche modo solo pochi EP. Il gioco regge, almeno finché non si riflette sul fatto che i brani di Cantoscena si reggono su testi davvero troppo audaci per gli anni Sessanta e Settanta italiani.
Il cortocircuito a quel punto è completo: ecco che l'AI ci trasporta in un multiverso in cui Rossella e Gina Gocci hanno fatto il passo più lungo della gamba, venendo tranciate di netto dalla mannaia di una censura ancora più spietata di quella effettivamente imperversante nel nostro Paese. Una storia folle in cui ci divertiamo a credere almeno per un po', anche solo per il gusto del meme.
Passi per Amore nero ma canzoni come Il sapore del tuo seme e Aprimi il "didietro" appaiono già dal titolo troppo audaci persino per il più coraggioso e sboccato degli epigoni di Piero Ciampi. Per comodità ci limiteremo all'analisi approfondita di una sola delle tre hit firmate Cantoscena, esemplificativa dell'intero modus operandi dietro questa goliardica iniziativa. Amore nero parte quindi come il brano di un Mal allucinato che ha scoperto la discomiusic e probabilmente il sesso estremo, mettendo in soffitta Furia e tutti i cavalli del west. Su una base da riempipista piuttosto standard ascoltiamo un wannabe Alan Sorrenti dallo sfumato accento inglese evolversi fino a interpretare il ruolo di una donna. La voce dell'intelligenza artigianale diventa poi apertamente femminile quando, occhieggiando forse alla Loredana Berté più trasgressiva, esplode in una In alto mare soft-porno in cui a disorientare però è il membro dell'altra persona, cui si accenna senza censure. In quel momento la controversa copertina di Sticky Fingers dei Rolling Stones diventa roba da educande, mentre la sottile linea rossa del politicamente corretto scorre via su un morbido tappeto musicale su cui Diana Ross sarebbe stata di certo meno sboccata.
Amore nero è l'ultimo risultato di un'iniziativa tanto fuori dagli schemi quanto genuinamente folle. Il canale di Cantoscena attraversa infatti senza pudore tre decenni, proponendo canzoni fake tra il 1967 al 1985. Si viaggia a gonfie vele tra un eurodence da balera che Sabrina Salerno avrebbe rimandato di sicuro al mittente a un classico motivetto sanremese, che sembra figlio di un provino scartato in fretta da Gigliola Cinquetti. Non sappiamo se, dopo il gran rumore che hanno fatto questi scherzi su internet, potremmo vedere una rilettura hard dei Verdena o chissà una versione dei Pinguini tattici nucleari vietata ai minori. Forse il segreto di questo boom sta proprio nel fermarsi nella riserva indiana del vintage, nella certezza che il senso di straniamento sia maggiore se si travisano ritmi e atmosfere ormai considerate non più à la page.
Partito come uno scherzo da TikTok, l'esperimento di Cantoscena si è espanso fino ad arrivare a conquistare la top 50 Spotify. Il progetto sfrutta le zone grige delle di solito stringenti norme dei social in materia di pornografia, divertendosi a mostrare come le piattaforme talebane con le immagini finiscano per essere ben più permissive con i testi (ignare forse di quanto si possa dire in italiano ricorrendo a doppi sensi). Non si tratta comunque probabilmente solo di un gioco estemporaneo, visto che i misteriosi papà di Cantoscena non si sono limitati a dare in pasto alla IA dei testi sconci da cantare in salsa revival. Dietro ogni canzone ci sono anche una specifica copertina e la storia di ogni artista. Ecco quindi che la Rossella de Il sapore del suo seme si scopre essere in realtà una ragazza della provincia viterbese, precedentemente conosciuta come Rosalba Donfanti. Un'artista fallita che dopo la breve carriera musicale era tornata a vivere in campagna, dove si sarebbe ritirata fino ad oggi. Sorte simile per Vera Luna (all'anagrafe Silvana Zanrusso), ragazza trevigiana che con la sua censuratissima hit aprì un presunto dibattito anche all'interno della fittizia etichetta Cantoscena.
Abbiamo visto tutte storie inventate di sana pianta ma che sembrano tuttavia raccontare tra le righe un bisogno nascosto quanto impellente: in un periodo storico in cui la musica non porta più con sé storie vere in grado di far nascere un legame con l'artista, si decide di costruire da zero dei finti profili musicali, in grado di avere una propria narrazione autonoma, spesso più profonda di quella di tanti colleghi in carne ed ossa. C'è poi dietro questo gioco birbante la voglia, di spingere il pedale dell'accelleratore in un mondo dove la trasgressione è plasticosa e sistematica, quasi a mostrare tutta la faziosità dietro certe operazioni odierne. In un mercato musicale dove la parolaccia va nascosta tra le pieghe e dietro un titolo rassicurante ecco canzoni che non hanno paura di essere per loro natura poco commerciabili. Perché in fondo tutti abbiamo sempre sognato di vedere Bocca di Rosa "poggiare l'amore su ogni cosa", senza censure, memori forse di quel Muscolo rosso che restava il vero cult da nascondere, per una generazione che non sapeva ancora che Cicciolina avrebbe un giorno lottato per il vitalizio.