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Se le "Questioni di famiglia" sono i bassi ascolti

TELEBESTIARIO di Francesco Specchia

Specchia Francesco
ufficio-stampa

La famiglia, innanzitutto. Di per sé il fatto di raccontare storie di famiglie – separate, violate, di fatto, adottive, omosessuali, omosessuali con figli -, di penetrare il cuore sociale d'Italia, sarebbe un'opera meritoria. Sarebbe. E in "Questioni di famiglia", il nuovo consultorio di Raitre (venerdì, prime time) condotto dalla pur empatica Marida Lombardo Pijola sono buoni senz'altro l'impegno, la regia e la tensione al servizio pubblico.

Ma, allora, perché lo share è stato solo del 2,10% - 547mila spettatori -, il peggiore raggiunto nei canali generalisti, roba che neanche il suicidio di massa della setta del reverendo Jones nella Guyana? Non cadrò nella trappola di criticare Ilaria Cucchi, qui arruolata come inviato non certo per curriculum (ma con l'intento di appiccare un incendio mediatico che, per nemesi, ha bruciato l'ascolto); anche se, evidentemente la Cucchi, tra i colleghi, è la meno dotata nella scrittura e nella presenza. Non tirerò fuori neppure l'obiezione della collocazione di palinsesto. "Questioni di famiglia" è un programma da pomeriggio – ma andrebbe a intralciare "Sconosciuti", che spesso tratta tematiche simili -; e comunque, se proprio uno vuol sperimentare in prima serata, magari sarebbe sconsigliabile il venerdì, inumato tra un Crozza e un Carlo Conti.

Mi limito ad osservazioni tecniche.
A) il programma galleggia sul pleonasmo e sulla ripetizione quasi orchitica degli argomenti. Se scorrono 10 minuti di servizio sulla precaria Simona che lascia il muratore Pietro perché l'ha scoperto che flirtava su Facebook, e Simona vive, al buio, con due figli e 600 euro al mese tutta contenta ("I miei bambini ora stanno meglio". Parliamone tra dieci anni...); beh, non è indispensabile riascoltare per un altro quarto d'ora le stesse ragioni, con Simona in studio e con condimento di commenti psicologico-giuridici...
B) i temi sono estremi nella loro normalità, ma non offrono soluzioni: la ragazzina indiana adottata che ruba, scappa di casa e distrugge la famiglia che l'ha accolta; il ragazzo vittima di bullismo virtuale e reale; i due gay ex militanti cattolici, assai benestanti con tate e appartamenti in centro, che hanno figliato e vogliono che si passi direttamente a riconoscergli uno status genitoriale che richiederebbe perlomeno un altro sinodo.
C) Il resto è un insidiosissimo deja vu, dai programmi di Comencini negli anni 70, ad Alda D'Eusanio, all'ultimo Milo Infante. C'è una frase che la conduttrice ripete cocciutamente: “L'amore non basta". Figurarsi lo share...