Più piccolo non è più bello

"Tesoro, mi si sono ristretti i prodotti", cos'è la shrinkflation e quella inflazione nascosta con cui abbiamo a che fare ogni giorno

Per combattere l'inflazione ormai tante aziende diminuiscono la quantità di prodotto per non dover alzare i prezzi. E non si tratta nemmeno dell'unico escamotage

21 Ago 2025 - 07:21
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Non si dovrebbe mai tornare dove si è stati felici, dice una di quelle regole non scritte dell'esistenza. Per molti si può rileggere come "non guardare mai indietro alla tua infanzia, soprattutto se è stata serena". Vale un po' per tutto: il posto di mare dove si andava a villeggiare da bambini con la famiglia (e che ora è stato magari deturpato dall'abusivismo edilizio) ma anche quel cartone animato che appariva imperdibile e invece, visto oggi, era solo una scusa per vendere pupazzetti. Provare a rifugiarsi nella nostalgia può portare contraccolpi insomma: quante volte, in questi pomeriggi d'estate, sarà capitato di ricomprare un gelato che era stato il protagonista assoluto dei vostri mesi di agosto e poi sospirare che ve lo ricordavate "più grande"? Beh, in molti casi la notizia è che non si tratta solo di una mera anomalia percettiva (per la nostra piccola mano il ghiacciolo sembrava una stalagmite) ma c'entra anche una precisa strategia di mercato, atta a nascondere i rincari di prezzo.

Comprare meno comprare di più

 L'economista americana Pippa Malmgren viene riconosciuta come la vera inventrice del termine "shrinkflation", una crasi tra "to shrink" (restringere) e inflation (inflazione, ça va sans dire). In Italia a volte mettiamo questo fenomeno sotto l'ombrello del termine "inflazione nascosta", forse consci che la traduzione "restringinflazione" non funzioni granché bene, suonando quasi come un componente dei frigoriferi tendente a guastarsi.

Il senso, tuttavia, resta comunque immediato da comprendere: rimpicciolire la confezione per non dover aumentare il prezzo del prodotto. Un escamotage che però fa discutere, facendo muovere concretamente anche i governi. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) per esempio ha adottato una serie di provvedimenti per difendere i consumatori, tra cui l'obbligo per le aziende di riportare in modo chiaro e inequivocabile la quantità di prodotto contenuta. Scelte di questo tipo, costringono quindi i brand a trovare altre soluzioni per affrontare un problema di cui i compratori finali si stanno sempre più rendendo conto: quello che prima era un prodotto finito oggi può risultare nei casi più gravi al massimo un trailer, un assaggio, di ciò che sarebbe dovuto essere.

Torroni e pepe, quando il trucco viene svelato

  Nel 2021 un'azienda leader nel settore della commercializzazione di spezie e condimenti in polvere fu costretta a pagare ben 2,5 milioni di dollari per evitare una controversia con i consumatori, che si erano lamentati del minor quantitativo di pepe nero messo nella "solita" confezione. Non si tratta di un caso isolato: qualche anno prima un'altra multinazionale statunitense era stata costretta a fare marcia indietro dopo aver inizialmente approvato una modifica sostanziale nei suoi torroni. L'azienda aveva provato infatti a risparmiare aumentando la distanza tra le punte del suo prodotto dolciario, rendendolo così "più vuoto" e meno costoso. Dopo addirittura una sanguinosa causa si finì quindi per riavere l'iconica barretta nel suo formato originale. 

Confezioni riprogettate e formati speciali. Cosa non si fa per nascondere l'inflazione

  Il "fallimento del torrone" non ha tuttavia scoraggiato altre aziende dal trovare modi creativi per nascondere la diminuzione delle quantità. Un famoso marchio di bevande giustificò così la scelta di sostituire la vecchia bottiglia da 32 once con una da 28, allo stesso prezzo: "Fondamentalmente abbiamo riprogettato la bottiglia, è più aerodinamica ed è più facile da prendere", ha spiegato un rappresentante dell’azienda in questione. “La riprogettazione genera un nuovo costo e le bottiglie sono un po’ più costose”, era la versione ufficiale. 

Ci sono poi le realtà che decidono di approfittare dell'uscita di un prodotto speciale nuovo per diminuirne la grammatura a parità di prezzo. Il ragionamento alla base è semplice: il consumatore sarà portato ad accettare più facilmente una nuova versione del prodotto, perdonando la diminuzione di quantità una volta catturato dalla novità. Ecco quindi, ade sempio, che la confezione del nuovo gelato "mango e acciughe" peserà meno della sua variante originale alla vaniglia.

In questo solco si muove anche la strategia del re-branding: in questo caso viene cambiata la grafica e la forma della confezione, nella speranza che il cambiamento estetico faccia passare in secondo piano la differenza di prezzo. Alcuni marchi pensano a confezioni diverse per differenti tipologie di negozi o locali: la stessa birra verrà in questo caso quindi venduta in un formato da 66 cl, mentre nei supermercati normali si troverà nel classico da 50 cl, mentre nei bar e nei negozi express potrà arrivare addirittura a essere commercializzata in lattine da 40 cl.

Attenti al peso netto

Attenti al peso netto  Jamie Stone, un esperto di packaging design presso PA Consulting, ha detto a Quartz che gli acquirenti sono diventati più consapevoli del danno degli imballaggi sprecati e ha consigliato di diventare "non solo price conscious, attenti al prezzo, ma anche net-weight conscious, attenti al peso netto". Un semplice accorgimento che aiuta, tra l'altro, non solo il portafogli ma anche l'ambiente.

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