La situazione è rosa ma non rosea

Pink Tax, la tassa nascosta che fa pesare il prezzo di essere donna anche sul portafoglio

Rasoi, creme idratanti e tanto altro. Fare la spesa per una donna spesso costa di più e non per forza solo in termini economici. Ecco come liberarsi delle "tasse rosa" e dei perniciosi stereotipi che si portano appresso

16 Ago 2025 - 06:00
 © Istockphoto

© Istockphoto

La "vie en rose", con buona pace di Edith Piaf, non è una gran vita, almeno quando sei alla cassa del supermercato. Con il colore rosa viene infatti indicata anche una specifica tassa, tanto subdola quanto apparentemente invisibile: la "pink tax", appunto. Per capire cosa sia è sufficiente aggirarsi con un minimo di curiosità tra gli scaffali di un supermercato e fare attenzione ai prezzi. Non serve infatti un'analisi troppo approfondita per notare come spesso e volentieri medesime tipologie di prodotti, spesso simili anche nelle caratteristiche vadano a costare in maniera differente unicamente in base al sesso del potenziale compratore. Si pensi in questo senso ai deodoranti, o agli shampoo, senza dimenticare le creme idratanti.

Una storia esemplificativa del problema

  Altro prodotto che spesso viene gravato dalla famigerata "tassa rosa" è il rasoio usa e getta. Questo articolo di uso comune divenne a inizio 2017 non a caso in Francia il simbolo di una battaglia che presto smise di toccare solo il portafogli, andando a diventare quasi il simbolo di un discorso di civiltà. Tutto cominciò quando l'allora ministra delle pari opportunità transalpina Pascale Boistard fece partire un dibattito su scala nazionale con un tweet in cui evidenziava il problema facendo l'esempio dei rasoi della Monoprix, una nota catena di supermercati d'Oltralpe: la confezione pensata per le consumatrici costava infatti quasi dieci centesimi in più di quella per uomini, nonostante contenesse solo la metà dei rasoi e le differenze tra le due varianti si limitavano praticamente solo al packaging e al colore. La diversità in termini di prezzo non era enorme (la confezione da cinque "rosa" costava 1,80 euro mentre quella "blu", da dieci pezzi, si aggirava sui 1,72 euro) ma comunque sostanziale sul medio-lungo termine, soprattutto se pensiamo a come permanga molto spesso un gap tra i sessi anche a livello di stipendio.

Una debolezza economica di cui si approfitta

  Proprio sulla maggior "debolezza economica" si soffermava a novembre del 2022 Lilia Giugni, ricercatrice a Cambridge e fondatrice del think tank femminista GenPol (Gender & Policy Insights), intervistata dal Venerdì di Repubblica: "Si deve partire dal dato di fatto che le donne sono in media economicamente più vulnerabili degli uomini. È quindi paradossale che sempre più aziende le targhetizzino con strategie di pricing che le pongono in una situazione di svantaggio. Queste strategie vanno demistificate e denunciate per quello che sono: operazioni che lucrano su un segmento sociale storicamente oppresso".

Ormai la pink tax è quasi introiettata anche dagli stessi consumatori, che non si sorprendono più di constatare certe differenze, percepite a volte come sedimentate e non più superabili. Già nel 2015 il New York Department of Consumer Affairs aveva pubblicato una indagine in cui si approfondiva il prezzo di 800 prodotti di oltre 90 brand, evidenziando la gravità della situazione. Dal report emergeva, per esempio, come l’abbigliamento per ragazze costasse il 7% in più rispetto a quello per ragazzi, con quello da donna adulta che arrivava addirittura a toccare l’8% in più. La sperequazione era poi simile anche nei giocattoli per bambine che sperimentavano un aumento del 7%, mentre i prodotti per la persona raggiungevano addirittura una maggiorazione del 13%. 

Non solo una questione di portafoglio. Quando il blu era "da femmina"

Oltre al danno per il portafoglio però, va evidenziato anche quello che si nasconde dietro al sovrapprezzo. Non ci vuole molto a identificare come dietro certi comportamenti "economici" si nasconda una vera questione di genere. Già dal nome la "tassa rosa" evidenzia un problema legato a un marketing basato su stereotipi, che ha conseguenze gravi anche nella vita di tutti i giorni e che spesso sono cavalcato coscientemente dall'industria.

Non serve d'altra parte scomodare il celebre "pink suit”, l’abito rosa indossato da Jay Gatsby ne Il grande Gatsby, per capire come fino a un secolo fa il rosa venisse percepito come un colore da uomo. In un’edizione del 1918 dell'Earnshaw’s Infants’ Department si legge addirittura un capovolgimento molto importante: "La regola generalmente accettata è rosa per i maschi e blu per le femmine. La ragione sta nel fatto che il rosa, essendo un colore più deciso e forte, risulta più adatto al maschio, mentre il blu, che è più delicato e grazioso, risulta migliore per le femmine".

Se tutto ciò è cambiato non è stato per un naturale cambiamento di gusto ma si è trattato più di un'evoluzione spinta dal medesimo mercato cui interessava creare due segmenti netti e identificabili. La pink tax è insomma qualcosa di connaturato al meccanismo economico e cui per tanto tempo ci si è arresi quasi inconsapevolmente. Si è accettato per decenni stereotipi e segmentazioni superficiali, di cui abbiamo iniziato a parlare con coscienza solo di recente.

Internet e la blu tax

  Tuttavia è bene non pensare che il progresso tecnologico possa per sua natura automaticamente portare a una paritetica evoluzione anche su certe questioni: per chiarirlo è utile ripescare l'interessante report sull'e-commerce del 2019 firmato dal portale internazionale di comparazione prezzi Idealo, che dimostra come da tempo neanche il mercato online si salva dalla cosiddetta pink tax. I prodotti per le donne subiscono infatti in media su internet una variazione di prezzo del 49,6%. Ma attenzione, dice l'analisi, esiste parallelamente pure una Blue Tax, che interessa categorie di prodotti proposti a un pubblico maschile. In particolar modo, i prodotti per la cura personale e le scarpe sportive. 

La verità è che tutto si muove su categorie ormai vetuste e stereotipi pensionabili: gli uomini, geneticamente predisposti a voler apparire più forti e atletici, in questa visione pagheranno di più articoli come le sopracitate scarpe sportive. Il tutto mentre le donne, maggiormente interessate all'aspetto fisico e ai prodotti di moda, si lascerebbero ingannare da una confezione accattivante, spendendo in genere di più per apparire belle rose (fiore non casuale) un po' fragili.

Traduciamo ancora tutto questo in numeri. Secondo i dati raccolti da Federconsumatori tre anni fa, un profumo per donna costava il 27% in più dell'equivalente per uomo, il deodorante rosa addirittura il 51 per cento di quello blu. "Si tratta di prezzi che aumentano più per esigenze di marketing che per reali caratteristiche", spiegava a Repubblica in merito il presidente dell'associazione Michele Carrus.

Attenzione alle pink tax nascoste

Sempre più spesso tuttavia, con la maggior sensibilizzazione generale su certe strategie, arriva anche la voglia di provare a camuffarle: ecco perché bisogna fare attenzione a chi prova a nascondere certe manovre arbitrarie dietro definizioni di comodo, spesso basate su presupposti piuttosto labili. Si pensi, come suggeriva la rivista francese 60 Millions de Consommateurs, alle creme idratanti: spesso queste vengono commercializzate facendo leva su caratteristiche che vengono percepite come femminili anche quando non si dice esplicitamente che si tratti di un prodotto "per lei". Ecco quindi riferimenti a qualcosa di delicato, etereo e pubblicizzato quasi sempre da donne. Un modo diverso e nemmeno troppo nuovo insomma per perpetrare certi schemi senza venire tacciati di passatismo. In un panorama simile sorge quindi spontanea la domanda su come sia necessario fare: la risposta sta probabilmente nel lasciarsi andare a una sana anarchia anche nel fare la spesa, con il superamento definitivo di incasellamenti che al netto di tutto non fanno il bene di nessuno. 

Come diceva Virginia Woolf, In ognuno di noi "presiedono due poteri, uno maschile, uno femminile. La mente androgina è risonante e porosa, naturalmente creativa, incandescente e completa". Farsi targhettizzare significa rinunciare a una parte della propria identità e anche (perché no) a lasciare lì una parte del sudato stipendio. Un prezzo che nessuna donna è più disposta a pagare, giustamente.

Commenti (0)

Disclaimer
Inizia la discussione
0/300 caratteri