Il caso di Avola rivela il fenomeno della desensibilizzazione morale: così i ragazzi perdono il senso del limite e trasformano in scherzo anche ciò che è pericoloso
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Una borraccia, una lezione di ginnastica, un gesto che voleva essere goliardico ma poteva trasformarsi in tragedia. Ad Avola, una studentessa ha bevuto acqua contaminata con candeggina, finita lì per uno scherzo di un compagno. La ragazza è stata portata in ospedale. Un episodio che mostra una dinamica sempre più diffusa: atti gravissimi vissuti e raccontati come semplici giochi.
Gli psicologi chiamano questo processo desensibilizzazione morale. Si tratta della progressiva perdita di sensibilità verso il danno che le proprie azioni possono arrecare agli altri. In pratica, ciò che all’inizio appare inaccettabile, a forza di essere ripetuto, visto o condiviso, diventa normale. La soglia del “non è poi così grave” si abbassa, fino a far percepire anche un atto rischioso come un semplice scherzo.
Uno studio pubblicato sul Journal of Youth and Adolescence ha dimostrato che l’esposizione frequente a comportamenti violenti riduce l’empatia e aumenta la probabilità di condotte aggressive negli adolescenti. In altre parole, più i ragazzi si abituano a vedere episodi estremi — dal bullismo alle sfide pericolose sui social — meno riescono a sentire la gravità delle conseguenze.
La desensibilizzazione morale si riflette nel quotidiano delle classi, nelle chat, nei corridoi delle scuole. Un insulto diventa “solo una battuta”, un atto di bullismo “solo una presa in giro”, un gesto potenzialmente letale “solo uno scherzo”. È un meccanismo che trova terreno fertile nell’adolescenza, età in cui il bisogno di approvazione del gruppo pesa più della valutazione individuale.
Alcuni studi pubblicati su Aggressive Behavior hanno evidenziato come l’abitudine a consumare contenuti violenti porti a una vera e propria assuefazione morale: la reazione emotiva al dolore altrui diminuisce e, con essa, la capacità di fermarsi prima di oltrepassare il limite. Nei giovani, questo si traduce spesso in un ridere insieme anche davanti a un danno evidente, come se la sofferenza dell’altro fosse parte integrante del gioco.
Il pericolo più grande è che la desensibilizzazione morale crei una zona grigia in cui nulla sembra più davvero sbagliato. Una bottiglia di candeggina diventa oggetto di uno scherzo, una ferita diventa occasione di risata, un’umiliazione diventa spettacolo da condividere sui social. La perdita di sensibilità non riguarda solo chi compie l’atto, ma anche chi assiste e non interviene, contribuendo a normalizzare il danno.
Secondo un report pubblicato su Frontiers in Psychology, questa forma di assuefazione mina le basi stesse della responsabilità morale: se il danno viene percepito come meno grave, l’empatia si spegne e la coscienza etica si indebolisce. È un processo che può segnare non solo i rapporti tra coetanei, ma la capacità futura di vivere le relazioni sociali con rispetto.
Il caso di Avola mostra come sia urgente riportare i giovani a riconoscere i confini tra ciò che diverte e ciò che ferisce. Non bastano i richiami o le punizioni: servono percorsi educativi che sviluppino l’empatia e insegnino a mettersi nei panni della vittima. Perché solo recuperando la sensibilità verso l’altro si può restituire significato alla parola “scherzo”, evitando che diventi la maschera di atti potenzialmente devastanti.