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Gino Bartali, la storia di un mito

"Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono allʼanima, non alla giacca". Con questa frase da lui stesso pronunciata potrebbe sintetizzarsi il modo di essere di Gino Bartali, che è stato dichiarato Giusto tra le Nazioni. Bartali nasce a Ponte a Ema (Firenze) il 18 luglio del 1914, a 12 anni interrompe gli studi per lavorare come aiuto meccanico in una piccola officina di biciclette e nel 1931 prende il via la sua grande avventura sulle due ruote. Nel 1936 e nel ʼ37 trionfa al Giro dʼItalia e diventa il protagonista assoluto del ciclismo italiano. Ginettaccio, così lo chiamavano gli amici per via del carattere chiuso e polemico, è lʼuomo giusto per il Tour de France: nel 1938 il grande Girardengo lo prepara per battere i francesi e Gino li batte. Ma la vera impresa che lo proietta nellʼOlimpo del ciclismo e della storia italiana arriva nellʼestate del 1948, durante il Tour de France. Il 14 luglio di quellʼanno, il giovane neofascista Antonio Pallante spara a Togliatti mentre esce da Montecitorio. Il paese si mobilita, la CGIL dichiara lo sciopero generale e il governo democristiano accusa i comunisti di istigare i propri simpatizzanti allo scontro. Ma ciò che accade al di là delle Alpi distrae tutti: lʼunico italiano in gara al Tour ha un ritardo di 21 minuti sul grande Louison Bobet. Bartali aspetta le montagne e sul colle dellʼIzoard, il 15 luglio, stacca gli avversari vincendo la tappa Cannes Briançon. E poi continua a salire. Arriva a Parigi venti minuti prima dei francesi che, come racconta Paolo Conte, "ancora sʼincazzano". Dopo dieci anni dalla prima volta, Bartali ha vinto il Tour: "Sembra quasi che, risorgendo Bartali nella stessa corsa che vinse tanti anni fa, risorgano tutti gli uomini sani che parevano già stanchi e che invece riprendono, con repentine energie, il loro cammino illuminati dalla splendente fiaccola di un maestro non soltanto di eccellenza sportiva, ma di tutti quei valori che costituiscono il vero uomo". Così scrive nel luglio del 1948 Emilio De Martino, il direttore della ʼGazzetta dello Sportʼ. LʼItalia, sconfitta dalla guerra, vince contro la Francia. Certo è una leggenda quella secondo cui il paese ha evitato la guerra civile grazie alla vittoria di Bartali, ma è una leggenda indicativa. Andata perduta lʼidentità nazionale, un paese distrutto dai bombardamenti degli alleati e dalla guerra contro il nazifascismo, ha bisogno di ritrovarsi, di schierarsi e di sperare. Il ciclismo consente di identificarsi nella fatica consumata sulla strada e Bartali ha fatto in modo che migliaia di italiani tornassero a sperare. Nel 1954 smette di correre, 2 anni dopo la storica foto della borraccia con il rivale Coppi, in bici ha percorso più di 150 mila km, vincendo 124 corse sulle 836 disputate.

Gino Bartali, la storia di un mito

"Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca". Con questa frase da lui stesso pronunciata potrebbe sintetizzarsi il modo di essere di Gino Bartali, che è stato dichiarato Giusto tra le Nazioni. Bartali nasce a Ponte a Ema (Firenze) il 18 luglio del 1914, a 12 anni interrompe gli studi per lavorare come aiuto meccanico in una piccola officina di biciclette e nel 1931 prende il via la sua grande avventura sulle due ruote. Nel 1936 e nel '37 trionfa al Giro d'Italia e diventa il protagonista assoluto del ciclismo italiano. Ginettaccio, così lo chiamavano gli amici per via del carattere chiuso e polemico, è l'uomo giusto per il Tour de France: nel 1938 il grande Girardengo lo prepara per battere i francesi e Gino li batte. Ma la vera impresa che lo proietta nell'Olimpo del ciclismo e della storia italiana arriva nell'estate del 1948, durante il Tour de France. Il 14 luglio di quell'anno, il giovane neofascista Antonio Pallante spara a Togliatti mentre esce da Montecitorio. Il paese si mobilita, la CGIL dichiara lo sciopero generale e il governo democristiano accusa i comunisti di istigare i propri simpatizzanti allo scontro. Ma ciò che accade al di là delle Alpi distrae tutti: l'unico italiano in gara al Tour ha un ritardo di 21 minuti sul grande Louison Bobet. Bartali aspetta le montagne e sul colle dell'Izoard, il 15 luglio, stacca gli avversari vincendo la tappa Cannes Briançon. E poi continua a salire. Arriva a Parigi venti minuti prima dei francesi che, come racconta Paolo Conte, "ancora s'incazzano". Dopo dieci anni dalla prima volta, Bartali ha vinto il Tour: "Sembra quasi che, risorgendo Bartali nella stessa corsa che vinse tanti anni fa, risorgano tutti gli uomini sani che parevano già stanchi e che invece riprendono, con repentine energie, il loro cammino illuminati dalla splendente fiaccola di un maestro non soltanto di eccellenza sportiva, ma di tutti quei valori che costituiscono il vero uomo". Così scrive nel luglio del 1948 Emilio De Martino, il direttore della 'Gazzetta dello Sport'. L'Italia, sconfitta dalla guerra, vince contro la Francia. Certo è una leggenda quella secondo cui il paese ha evitato la guerra civile grazie alla vittoria di Bartali, ma è una leggenda indicativa. Andata perduta l'identità nazionale, un paese distrutto dai bombardamenti degli alleati e dalla guerra contro il nazifascismo, ha bisogno di ritrovarsi, di schierarsi e di sperare. Il ciclismo consente di identificarsi nella fatica consumata sulla strada e Bartali ha fatto in modo che migliaia di italiani tornassero a sperare. Nel 1954 smette di correre, 2 anni dopo la storica foto della borraccia con il rivale Coppi, in bici ha percorso più di 150 mila km, vincendo 124 corse sulle 836 disputate.
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