UNIVERSITA'

Boom di laureati in Italia, ma siamo ancora fanalino di coda in Europa

Tra il 2001 e il 2024 i laureati in Italia sono aumentati del 139,6%. Le donne rappresentano la maggioranza. Eppure, tra i 25-34enni il tasso di istruzione terziaria si ferma al 31,6%

18 Set 2025 - 15:52
 © ansa

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L’Italia è quel Paese dove per ogni buona notizia ce n’è una che stempera subito l’entusiasmo. Da un lato, infatti, possiamo vantare una striscia positiva che dura da oltre un ventennio per quanto riguarda i livelli di istruzione raggiunti: tra il 2001 e il 2024 il numero dei nostri laureati è, infatti, cresciuto in modo costante, con un aumento complessivo del +139,6%. E con le donne che si sono stabilmente affermate come maggioranza dei laureati. Quest'anno è stata superata quota 400.000 all’anno.

Crescono i laureati ma sono ancora pochi

Dall’altro, però, dobbiamo fare i conti con un paradosso che ci trasciniamo dietro da sempre, almeno in tempi recenti. Nonostante questi passi avanti, restiamo fanalino di coda in Europa per quota di giovani con un titolo universitario o di livello equiparabile: nel 2024, tra i 25 e i 34 anni, solo il 31,6% possedeva un titolo di studio terziario: più di dieci punti sotto la media europea, che sfiora il 44%, e lontanissimo dall’obiettivo del 45% fissato per noi dal Consiglio dell’Ue per il 2030.

Così, pur con un deciso incremento dei numeri - nel 2023 il dato era al 30,6%, nel 2022 si fermava al 29,2% - l’Italia resta penultima nella classifica comunitaria, davanti soltanto alla Romania, ferma al 23,2%.

Eppure, i segnali incoraggianti non mancano. Come evidenzia Skuola.net - che ha riletto la serie storica dei dati del Ministero dell'Università e della Ricerca relativi proprio al numero di laureati anno per anno - l’università italiana continua ad attrarre i giovani, e soprattutto le studentesse: un indicatore che, almeno sul fronte del gender gap, si muove nella direzione giusta.

Gli ultimi vent'anni col segno quasi sempre positivo

Più in generale, nel 2001 i laureati in Italia erano 171.806, mentre nel 2024 hanno conseguito il titolo 411.582 studenti. Una progressione più o meno lineare - con qualche flessione lungo il percorso - che nemmeno l’era Covid ha interrotto. A segnalare una tendenza consolidata che vede il titolo accademico attrarre nel tempo sempre più giovani, soprattutto di genere femminile.

Così, tra il 2001 e il 2007, c’è stata una crescita progressiva importante: si è passati dai 171.806 laureati del 2001 ai 201.118 del 2002, per poi salire a 234.939 nel 2003 e a  268.821 nel 2004. Fino a superare, nel 2005, la soglia dei 300 mila (301.298). In questi primi cinque anni l’aumento complessivo è stato di circa 129 mila laureati, con salti annui anche oltre i 30 mila.

Tra 2006 e 2010, invece, il ritmo ha rallentato vistosamente: prima la stasi attorno ai 300 mila (301.376 i laureati del 2006), poi lievi flessioni per tre anni di fila (tra il 2007 e il 2009), fino al calo più netto del periodo, pari al -2,3% nel 2010 (285.990).

È stata questa la fase più piatta della serie storica: dal 2006 al 2010 si sono persi circa 15 mila laureati. Poi, dal 2011, la risalita è stata comunque graduale: si va dai 296.862 laureati del 2011 ai 308.160 del 2014. Nel 2015 un’altra piccola battuta d’arresto (305.183 laureati, –0,97%), subito però riassorbita: dal 2016 al 2019, infatti, c’è stata una nuova impennata, che ha portato il numero dei laureati censiti a superare quota 344 mila. 

Ma è, un po’ a sorpresa, nel biennio pandemico 2020–2021 che la crescita ha ulteriormente accelerato: si passa da 354.011 a 373.949 laureati. E dopo una lieve discesa nel 2022, tra il 2023 e il 2024 si arriva al massimo storico di 411.582.

Le donne guidano la truppa dei "dottori" italiani

Un’altra buona notizia, come già segnalato, è che le studentesse restano stabilmente la maggioranza dei laureati. In più di venti anni si è passati da 97.283 a 237.705: un incremento che corrisponde a +140.522 laureate tra il 2001 e il 2024. 

Resta però il nodo cruciale, che ci riporta al punto di partenza: questa crescita, pur significativa, non basta a colmare il divario che ci separa dal resto del continente. Nel 2024 la media di laureati tra i 25 e i 34 anni dell’Unione Europea segnava quota 44,1%, una percentuale ormai vicina al target fissato per il 2030. L’Italia, invece, si è fermata al 31,6%, ben lontana dalle traiettorie virtuose di Paesi come Irlanda, Lussemburgo o Belgio, che da anni hanno superato la soglia del 50%.

I motivi delle difficoltà

Come ha ricordato di recente l'Ocse, le ragioni di questo ritardo sono molteplici e intrecciano fattori sociali, economici e territoriali. L’origine familiare resta una discriminante decisiva: chi nasce in famiglie in cui i genitori non hanno un titolo di scuola secondaria superiore ha molte meno probabilità di intraprendere e concludere un percorso universitario.

A tutto ciò si sommano i costi, diretti e indiretti, di un corso di studi: le tasse universitarie, ma anche gli affitti nelle città universitarie, i trasporti, il materiale didattico. Variabili che pesano in modo diverso a seconda del reddito e che finiscono per scoraggiare molti giovani, soprattutto al Sud.

Ed è proprio il divario territoriale a rappresentare una delle fratture più profonde. Come ha già evidenziato l’Istat nel suo report sul benessere equo e sostenibile, nelle regioni del Nord e del Centro la quota di giovani laureati - tra i 25 e i 39 anni - si avvicina o supera il 35%, nel Mezzogiorno la percentuale crolla al 25%.

Guardando più da vicino i dati provinciali, il quadro si fa ancora più grigio: a Siracusa appena il 15,2% dei residenti tra i 25 e i 39 anni ha conseguito una laurea, a Foggia il 15,8%, a Brindisi e Reggio Calabria si resta sotto la soglia di un laureato ogni cinque abitanti. Realtà distanti anni luce dalla media nazionale del 31,9%.

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