Fuochi che si spengono

Dopo 54 anni la Porta dell'inferno si chiude, storia di una catastrofe ambientale diventata icona del Turkmenistan

Un cratere in mezzo al deserto  e perennemente in fiamme per più di mezzo secolo, rilascia nell'atmosfera metano dagli anni Settanta. La sua chiusura, annunciata già nel 2022, è una buona notizia per l'ambiente ma forse non per il turismo dello Stato

di Manuel Santangelo
11 Ago 2025 - 10:25
 © Instagram

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C'è chi ha la Torre Eiffel, chi il Colosseo e chi "la Porta dell'inferno". Ancora non esistono forse calamite o palline con la neve (che d'altra parte si scioglierebbe) con l'attrazione turistica principale del Turkmenistan ma comunque, da ormai più di mezzo secolo, sono in tanti a sobbarcarsi ore di macchina solo per vedere questo gigantesco cratere. Dal 1971 il buco creato per errore dai geologi sovietici  "sputa fiamme" a getto continuo ma, come tutti i fuochi, anche questo starebbe ora per spegnersi. Una decisione presa per limitare l'impatto ambientale del sito e per chiudere una storia di cui ora rischia di restare "solo la brace". A comunicare la decisione l'ultimo erede della famiglia Berdymukhamedov, che per anni ha avuto un rapporto ambivalente con quella voragine che i turkmeni hanno provato (senza fortuna) a far conoscere con il nome  di "bagliore di Karakum" (meno evocativo però di Porta dell'inferno).

Un uomo (strano) solo al comando

Un uomo (strano) solo al comando  Gurbanguly Berdymukhamedov è stato per anni il padre-padrone del Turkmenistan, almeno fino al 2022, quando gli è succeduto il figlio Serdar (con pochi cambiamenti in realtà per gli abitanti del Paese). Durante il suo periodo alla guida in prima persona della ex repubblica sovietica, Berdymukhamedov ha sempre amato il video come strumento di propaganda: nel 2018 ne fu diffuso uno dove alzava una sbarra per il sollevamento pesi durante una riunione del suo governo, tra gli applausi dei sottoposti ma forse il più famoso resta quello dell'anno dopo.

L'allora leader del Turkmenistan decise infatti di smentire le voci sulla sua morte esibendosi in manovre piuttosto complesse con la sua 4x4 proprio nei pressi della cosiddetta "Porta dell'inferno", un cratere pieno di fiamme in mezzo al deserto che negli anni era diventato allo stesso tempo la prima attrazione turistica del Paese e il simbolo di un disastro ambientale. Berdymukhamedov non aveva amato da subito la Porta, provandola a chiudere una prima volta addirittura nel 2010, ma aveva fatto alla fine buon viso a cattivo gioco, cosciente della particolarità di questo luogo unico al punto da inserirlo nella sua iconografia. Adesso però al potere c'è il figlio Serdar, che dopo 54 anni, ha deciso di spegnere una volta per tutte quel fuoco.

Cos'è il "bagliore del Karakum"

 La Porta dell'inferno è un gigantesco cratere di 70 metri di diametro e 20 metri di profondità da cui, ormai dagli anni Settanta, si alzano fiamme senza sosta. La gigantesca voragine di fuoco si trova nel cuore del Turkmenistan, perfettamente a metà strada tra la capitale e la terza città più grande del Paese, Dashoguz.  Attorno a lei tuttavia, c'è soprattutto sabbia. Nulla di così sorprendente, considerando che l'intera Nazione è occupata per tre quarti dal deserto del Karakum. Una zona quindi apparentemente vuota, che sembrerebbe condannare alla povertà i pochi che ci abitano se non fosse che, sotto tutta quella sabbia, si nascondono quei gas che sono il sostentamento dell'economia turkmena e che in passato sono stati il vero motivo per cui i sovietici si coccolavano questo avamposto nell'Asia Centrale, grande più di una volta e mezzo l’Italia ma con un dodicesimo della sua popolazione (poco più di 5 milioni di abitanti). Proprio all'URSS e alla sua voglia di scoprire i giacimenti nascosti del Turkmenistan si deve non a caso anche la nascita involontaria della Porta dell'inferno, creata per errore nel 1971.

Come nacque la Porta

 Agli inizi degli anni Settanta un gruppo di geologi russi venne spedito nel deserto del Karakum per indagare se ci fossero giacimenti sotterranei di petrolio da poter sfruttare. Allo scopo, una volta arrivati sul posto, gli emissari dell'Unione Sovietica collocarono quindi una piattaforma di perforazione, che tuttavia provocò il collasso del terreno facendo fare agli avventori un'inaspettata scoperta: sotto di loro non c'era nessuna traccia di oro nero, quanto piuttosto un grande giacimento di gas naturale che si stava sprigionando diventando pericolosa per la popolazione locale, che si sostentava principalmente con l'allevamento di bestie (che rischiavano pure loro una brutta fine respirando quell'aria). Ecco quindi, per evitare ulteriori rischi, che i geologi ebbero una pensata: dare fuoco al gas, che a quel punto si sarebbe dovuto consumare velocemente con la combustione in poco tempo. Peccato solo che i sovietici sbagliarono un po' i calcoli, visto che le alte fiamme che iniziarono a salire quel giorno non si sarebbero mai del tutto spente nei seguenti cinquanta e più anni dando vita alla Porta dell'inferno.

Un nome una garanzia

  Il nome venne quasi automatico, considerando anche che uno dei pochi insediamenti abitati vicini si chiamava proprio "Derweze" (ovvero "porta" in turkmeno). Furono proprio i trecento abitanti, per la maggior parte seminomadi della tribù Tekke, a scegliere il nome, colpiti tanto dall'odore della combustione quanto dalle fiamme arancioni che bruciano giorno e notte, visibili a chilometri di distanza. Un effetto molto scenografico, che iniziò a richiamare nella zona sempre più turisti, affascinati da quella Porta dell'inferno che il governo provò senza fortuna a pubblicizzare anche col più amichevole nome di "bagliore del Karakum". In breve divenne l'unica vera attrazione turistica del Turkmenistan, anche se il suo fascino sta piano piano declinando, portando la famiglia a rivalutare il vecchio progetto di mettere fine a questo spettacolo. Un'idea che la famiglia Berdymukhamedov aveva già caldeggiato prima di oggi l'ultima volta nel 2022.

Rimane solo la brace

 Tre anni fa poi all'annuncio seguì un nulla di fatto ma ora dovremmo davvero esserci. I motivi della scelta sono tanti, a partire proprio dal fatto che l'appeal della Porta si sta ormai spegnendo, esaurendosi come il combustibile che ha quasi finito di prendere fuoco.  Dal dicembre 2024 sono operativi due pozzi che hanno aumentato considerevolmente l'estrazione di gas naturale nella zona circostante, sottraendo combustibile all'incendio e riducendo l'intensità delle fiamme di oltre tre volte rispetto ai livelli del 2013.  Se allora il bagliore del fuoco era ancora visibile a molti chilometri di distanza illuminando il paesaggio desertico, oggi le fiamme sono percettibili solamente nelle immediate vicinanze del sito. Ormai delle magniloquenti lingue di fuoco che attraevano fino a 10mila persone è rimasto poco, lasciando spazio a una gigantesca brace arancione, perfetta per un barbecue da Gulliver ma meno per affascinare i numerosi avventori che affrontavano ore nel deserto solo per farsi riempire gli occhi da un tale spettacolo. Del bagliore originario è rimasto ormai solo il ricordo, lasciando posto a un mesto calderone annerito con poche sacche di fuochi residui. A questo punto il danno per il turismo comunque ci sarà ma i vantaggi per l'economia turkmena potrebbero essere lo stesso maggiori. Senza contare l'impatto ambientale che questo gigantesco buco sputa-metano fa all'ambiente.

Impatto ambientale ed economico

  Sebbene il regime non rilasci dati ufficiali, si può intuire l'impatto ambientale della porta anche solo attraverso i satelliti. Questi ultimi hanno rivelato che senza troppe sorprese il Turkmenistan detiene il record mondiale per rilascio di metano. Un dato confermato nel 2024, anche dall'Agenzia Internazionale per l'Energia (AIE). C'è poi a giustificare la chiusura della Porta anche una mera ragione economica. Come rilevò nel 2022  Gurbanguly Berdymukhamedov: "Si stanno perdendo materie prime preziose. La loro esportazione potrebbe generare profitti significativi e contribuire al benessere della nostra popolazione". Insomma tutti d'accordo. Va solo risolto il problema che mettere la parola fine a questa storia si sta dimostrando complicato anche e soprattutto per ragioni pratiche, come emerge anche dalle poche informazioni fatte filtrare dallo Stato maggiore turkmeno.

Come spiegò tre anni fa a Repubblica  uno specialista di Turkmengaz (l'azienda statale), che preferì rimanere anonimo: "I giacimenti di idrocarburi del Karakum sono caratterizzati dalla presenza di un gran numero di strati sottili, intervallati da strati più densi contenenti acqua. La lunga combustione del cratere è spiegata dall'interazione di questi molteplici strati che rendono complicato controllarne il flusso". La situazione migliora solo col tempo, naturalmente, con l'esaurirsi del gas. Un processo che probabilmente sta arrivando però finalmente al suo culmine.

Le nuove frontiere da record del turismo turkmeno

Il turismo turkmeno avrà un buco, non appena verrà tappato quello vero. Tuttavia i Berdymukhamedov sperano di recuperare visitatori puntando sulla particolare architettura delle sue città. Soprattutto la capitale Ashgabat risente della passione dei padri padroni dello Stato per il guinness word record. Pur di apparire infatti nel libro dei primati infatti i Berdymukhamedov hanno negli anni stravolto l'apparenza della città, riempiendola innanzitutto di fontane anche molto particolari. Qui si conta infatti il più alto numero di fontane in uno spazio pubblico, con la sola Fontana di Ashgabat, sulla strada che va dall’aeroporto alla città, che consiste in 27 piccole fontane sincronizzate. C'è poi la ruota panoramica al coperto più grande del mondo, una struttura alta quasi 50 metri e costata l’equivalente di circa 64 milioni di euro. Un prodigio che comunque impallidisce con il più grande edificio del mondo a forma di stella: tutto in vetro, è la sede della televisione nazionale turkmena. Insomma il Turkmenistan ha capito che è ora di chiudere il buco e sa anche con che toppa farlo, almeno a livello turistico.

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