Dopo il particolare tentativo dello scorso anno, il campionato di calcio di Tripoli si deciderà anche stavolta nel nostro Paese. Un esperimento che nasce dalla voglia di rinsaldare legami politici ed economici tra Roma e Tripoli
di Manuel SantangeloNel 2002 l'Italia del pallone si stava godendo gli ultimi scampoli della sua epoca d'oro. La Serie A era un brand fortissimo e un esempio di eccellenza made in Italy da esportare persino all'estero. Per questo, in un mondo che si faceva sempre più globalizzato, si puntò ad aprire la stagione con una Supercoppa giocata all'estero. Dopo il tentativo "americano" del 1993 si decise quindi di portare quello che è il trofeo "meno nobile" del nostro calcio a Tripoli, in quella Libia che si era avvicinata all'Italia anche economicamente. L'esperimento non partì benissimo con le due squadre, i giornalisti e i dirigenti della Lega Calcio costretti ad aspettare quattro ore a Malpensa, prima di imbarcarsi su un volo misteriosamente in ritardo. Tuttavia si rivelò alla fine un mezzo successo di diplomazia del pallone. Lo stadio di Tripoli gremito all'inverosimile assistette entusiasta a quel Parma-Juventus deciso da una doppietta di Del Piero e lo stato maggiore libico ebbe di che festeggiare, visto che al tempo la famiglia Gheddafi controllava ben il 7,5% delle azioni del club bianconero.
Nelle foto dell'epoca si vede addirittura Saadi Gheddafi, figlio del colonnello e primo sponsor dell'intera iniziativa, festeggiare con il trofeo attorniato da Nedved, Birindelli, Del Piero e i dirigenti juventini del tempo. Da allora sono passati 23 anni, Saadi è riuscito a calcare addirittura i campi della nostra Serie A prima di soccombere con il resto della sua famiglia, ma il calcio resta comunque un trait d'union in grado di legare Italia e Libia. Ciò che cambia però è che stavolta sono loro ad esportare il meglio del pallone locale da noi. Un'iniziativa forse bislacca e complicata da comprendere ma che nasconde delle motivazioni ben più complesse.
Il 25 luglio 2025 Milano si è trovata ad ospitare i playoff del campionato libico. Tre partite nell’arco di una giornata, secondo una formula che verrà ripetuta ogni quattro giorni per cinque turni, fino a domenica 10 agosto e che coinvolgerà anche alcuni comuni vicini (come Sesto San Giovanni). Un discreto sforzo organizzativo per il capoluogo lombardo, che ha riportato anche all'utilizzo a pieno regime dell'Arena Civica intitolata dal 2002 a Gianni Brera. Eppure non se ne sta parlando troppo, tanto da far chiedere ai più perché si sia scelto di portare in Italia un evento in grado di generare così poco interesse. Oltretutto si tratta di partite da giocare praticamente a porte chiuse, se si eccettua una delegazione di venti tifosi per squadra arrivati direttamente dalla Libia per animare un minimo le contese, e che quindi sono già a prescindere impossibilitate ad attrarre pubblico. Non si tratta nemmeno di una prima volta per l'Italia, che aveva già sperimentato l'anno scorso cosa comportasse essere teatro di un tale evento sportivo e che quindi sapeva già a cosa andava incontro. Ma allora perché si sta replicando una tale esperienza? Chiaramente esistono delle motivazioni, che col campo hanno poco a che fare.
È abbastanza chiaro che Milano non abbia scelto di diventare la capitale del calcio libico per regalare ai tifosi locali le magie del maliano Boubacar Traoré (un passaggio negli ungheresi dell'Honved come picco della carriera prima di riparare al Al-Ahly Benghazi). Dietro una scelta del genere ci sono piuttosto rapporti economici e politici. L'accordo per portare la fase calda della Libyan Premier League nel nostro Paese è stato firmato il 7 maggio 2024, durante una visita del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Tripoli, per l'occasione accompagnata pure dal ministro dello Sport Andrea Abodi. L'iniziativa è infatti parte del Piano Mattei e fa parte di una serie di accordi bilaterali firmati dal nostro governo con quello libico. Non solo, grande sponsor della Final Six giocata in Italia è la Tamoil, l'azienda statale che controlla tutti i giacimenti di petrolio del Paese nordafricano e che, prima di sponsorizzare l'evento, era già apparsa in passato sulle maglie di Atalanta e Juventus.
Proprio il cosiddetto "oro nero" è una delle ragioni per cui si è deciso di dare seguito a questo evento diplomatico in salsa pallonara: oggi, a maggior ragione dopo quanto accaduto tra Russia e Ucraina, la Libia è un partner economico fondamentale che rappresenta il primo fornitore di petrolio per il nostro Paese con l'Algeria. Da sola Tripoli copre il 21,5% delle importazioni nazionali di greggio e ne abbiamo comprate 2.156.000 tonnellate solo nei primi due mesi del 2025.
Iniziative simili hanno quindi anche l'obiettivo di rafforzare i legami e ammorbidire le posizioni, nella speranza di evitare momenti complessi come quelli vissuti verso la fine della scorsa estate, quando il generale Haftar decise di bloccare la produzione e l'export di petrolio dall’Est del paese, provocando un aumento del prezzo e indirettamente dei danni anche all'Italia.
A proposito di Haftar, stavolta non dovrebbe esserci il rischio di possibili scivoloni diplomatici connessi alla sua presenza. L'Al Nasr di Bengasi, campione uscente e gestita dal figlio del capo di Stato Maggiore Khaled, è stata infatti estromessa sul filo di lana dalla lotta playoff, risparmiandoci possibili remake di quanto accaduto l'anno scorso. Nel 2024 venne allestito un podio allo Stadio dei Marmi di Roma, alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani, di quello dello Sport Abodi e dei presidenti delle rispettive Federcalcio. Un momento di celebrazione che sarebbe stato anche solennemente immortalato se non fosse che a trionfare fu proprio alla fine la squadra controllata da Khaled Khalifa Haftar. Così a quest'ultimo, erede del capo di un governo non riconosciuto dalla comunità internazionale, venne chiesto di non partecipare alla cerimonia. Una richiesta che non piacque nè a lui né tantomeno ai calciatori della sua squadra, che decisero a quel punto di disertare la premiazione: l'incarico di ritirare la coppa venne quindi assegnato ad un magazziniere che portò il trofeo ai giocatori nel parcheggio antistante lo stadio, dove il traguardo venne finalmente celebrato con il presidente. Scene che non si ripeteranno quest'anno, grazie agli innocui capricci del pallone.
A evitare la presenza di Abdel Ghani al Kikli, meglio noto come “Ghnewa”, ci sono state invece cause ben più gravi e ammantate di tragedia. Il capo dell’Apparato di stabilità e supporto, una delle milizie più forti della capitale, è stato infatti vittima di un agguato mortale a Tripoli, ordito - sembrerebbe - da uomini del premier Abdelhamid Dabaiba. Non sarà quindi giocoforza in Italia, dove si era presentato tra l'imbarazzo generale l'anno scorso in veste di patron dell'Al-Ahly Tripoli (pur essendo indagato per crimini contro l'umanità).
Anche per la presenza di certe personalità quantomeno scomode quest'anno l'Italia ha fatto il possibile per mantenere un basso profilo sull'intero evento. Fino all'ultimo l'idea di giocare i playoff a Milano e dintorni sembrava essere solo un'ipotesi, più o meno concreta. "Se non arriva il via libera, non si fa nulla. Ci sta lavorando il nostro consigliere diplomatico", faceva sapere il mese scorso al Foglio Abodi. "Non sappiamo nulla e comunque non siamo nemmeno noi gli organizzatori", comunicava in quasi contemporanea la FIGC alla stessa testata, chiarendo come la nostra Federazione si limitasse a reperire gli arbitri e omologare i risultati. Per le questioni logistiche meglio citofonare alla Sport Global Management, una società privata con sede a Ginevra e gestita dall'ex procuratore di Pogba Gaël Mahé (pure lui dubbioso sulla fattibilità dell'intera operazione fino a poco tempo fa).
La Sport Global Management si è occupata dell'organizzazione dei playoff già nella stagione 2023-2024, senza entusiasmare troppo le squadre libiche. La Federcalcio del Paese nordafricano era stata infatti illusa dalle promesse di Mahé e soci, che avevano caldeggiato l'ipotesi di una finale all'Olimpico o al Viola Park di Firenze prima di doversi accontentare di impianti meno affascinanti come il Bonolis di Teramo. Addirittura ai libici era stato proposto persino il Flaminio, prima che da Roma qualcuno facesse presente come l'impianto fosse ormai abbandonato al suo destino da anni. L'anno scorso quindi si assistette a un torneo itinerante tra Avellino, L'Aquila e la già citata Teramo, che piacque il giusto alle società (pare poco convinte anche degli alberghi messi a disposizione). Inconvenienti che comunque sembrano essere ormai passati in cavalleria, visto l'entusiasmo con cui tutti in Libia hanno pubblicizzato la scelta di una nuova escursione in Italia. Mentre da noi si tratta l'intera operazione come un evento secondario, da quelle parti si parla di qualcosa di storico ed eccitante. Non solo la Federcalcio locale ma anche le stesse squadre hanno celebrato sui loro canali l'arrivo nella Penisola. La sorpresa del campionato, il piccolo Asswehly di Misurata, ha per esempio celebrato l'accesso alla post-season con un eloquente "Ciao Italia", condiviso sui social a corredo di un fotomontaggio con i giocatori pronti ad imbarcarsi alla volta del Belpaese. Un bel momento per loro e anche per chi probabilmente cerca, persino qui, la squadra Cenerentola per cui tifare.