Il caso

Stefano De Martino e quei video rubati: perché vogliamo spiare la vita privata dei vip (e quando diventa malattia sociale)

Alcuni spettatori sviluppano un legame emotivo particolare con i personaggi famosi, li sentono “vicini”, “familiari”, quasi amici, pur non avendoli mai incontrati. E con i social questa dinamica è esplosa

20 Ago 2025 - 07:00
 © Instagram

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Quando Stefano De Martino ha denunciato la violazione del suo sistema di videosorveglianza domestica, trovandosi in Rete immagini intime rubate, il pubblico si è diviso fra indignazione e curiosità. E proprio lì, in quel moto di attrazione verso scene che non avremmo mai dovuto vedere, emerge il nocciolo della questione: perché ci interessa così tanto quello che i vip fanno nelle loro case? Cosa scatena in noi il desiderio di spiare salotti, cucine, letti e conversazioni private, persino quando sappiamo che quelle immagini sono state sottratte illegalmente?

Come nasce la voglia di “entrare” nella casa dei famosi

 La risposta non è solo “malizia” o “gossip”. A spiegarlo sono due ricercatori americani, Donald Horton e Richard Wohl, che negli anni Cinquanta introdussero il concetto di "relazione parasociale": alcuni spettatori sviluppano un legame emotivo particolare con i personaggi famosi, li sentono “vicini”, “familiari”, quasi amici, pur non avendoli mai incontrati. Oggi, con i social network, questa dinamica è esplosa. Instagram, TikTok e YouTube ci danno l’illusione di essere dentro la vita dei vip: ciò che prima era “apparizione in tv”, ora è colazione, litigio, trucco, pigiama. Ogni dettaglio domestico diventa parte del racconto.

Secondo alcuni studi pubblicati da Vox e Vogue nel 2024 questa “vicinanza digitale”, favorita dal tono confidenziale dei social, genera nel pubblico una fame crescente di intimità non mediata: non ci accontentiamo più del tappeto rosso, vogliamo la faccia struccata, il momento di routine, la lite col partner.

Dai cloud violati a Hollywood alle star italiane: nessuno è al sicuro

 L’ossessione per la vita privata dei vip ha già colpito duramente in passato, con episodi che hanno fatto storia. Nel 2014 le immagini intime di Jennifer Lawrence, rubate dal suo profilo iCloud e diffuse online insieme a quelle di decine di altre celeb, segnarono uno spartiacque: l’attrice definì l’attacco "un crimine sessuale", denunciando la violenza psicologica di trasformare la vergogna in contenuto virale.

Tra i casi più celebri, prima ancora, c’era stato quello di Pamela Anderson, che vide sparire da casa un video privato con Tommy Lee, finito poi online. In Italia lo schema si è riproposto con dinamiche identiche: nel 2017 il cellulare di Diletta Leotta venne hackerato e immagini personali furono caricate su Telegram e siti esteri. Il filo rosso è lo stesso: più una figura pubblica è presente nell’immaginario collettivo, più il desiderio di violarne l’intimità domestica diventa feroce e socialmente tollerato.

Quando la curiosità diventa voyeurismo

 Il problema è che questa spinta a sentirsi partecipi può trasformarsi in "intimate surveillance," cioè “sorveglianza intima”. Si tratta di un fenomeno che porta le persone a monitorare attivamente la vita privata di un personaggio attraverso video, dirette e contenuti anche non destinati al pubblico. Qui nasce il corto circuito: se qualcuno ruba un video privato, troverà sempre una massa pronta a guardarlo. E, di conseguenza, l’attenzione si sposta dalla gravità del reato alla soddisfazione di quel bisogno.

Vogue definisce questa dinamica una nuova forma di voyeurismo sociale, figlia dell’epoca digitale: ciò che prima sarebbe stato giudicato intrusivo oggi viene normalizzato come “intrattenimento”. Il risultato? Siamo sempre più connessi e assetati di vite altrui. Secondo alcuni psicologi, questo tipo di relazioni si moltiplicano soprattutto in contesti dove l’empatia reale scarseggia: seguire una celebrity ci fa sentire meno soli, più “in contatto con qualcuno”. Ma quando questo contatto passa attraverso la violazione della sua privacy, è la nostra cultura a diventare tossica.

Il caso De Martino è solo l’ultimo segnale: non guardiamo più i vip, li scrutiamo nel privato. E forse è arrivato il momento di chiederci non solo quanto siamo disposti a vedere, ma cosa stiamo diventando mentre lo facciamo.

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