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Camilla Lunelli: "Entrare in azienda è stata fin da subito un'avventura entusiasmante"

Camilla Lunelli, Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne del Gruppo Lunelli, racconta la sua storia a Tgcom24

Figlia di imprenditori, da sempre affascinata dal mondo del vino, rappresenta, insieme al fratello e ai cugini, la terza generazione della famiglia: lei è Camilla Lunelli, top manager del Gruppo Lunelli.

Camilla Lunelli, Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne del Gruppo Lunelli

 

Camilla, lei appartiene a una famiglia di grandi vignaioli e produttori di una delle cantine più famose al mondo.
La storia della nostra famiglia è strettamente legata a quella di Ferrari. Giulio Ferrari, infatti, nel 1902, esattamente 120 anni fa, decise di creare in Trentino un vino capace di confrontarsi con i migliori Champagne. Per primo intuì la straordinaria vocazione delle nostre montagne e per primo iniziò a diffondere lo Chardonnay in Italia, producendo poche e selezionatissime bottiglie. Non ebbe figli e nel 1952, trovò in mio nonno, Bruno Lunelli, il successore a cui affidare il suo sogno. Insieme a mio fratello e ai miei cugini oggi rappresento la terza generazione della nostra famiglia e portiamo avanti l’azienda con l’obiettivo di innovare senza mai venir meno ai valori di eccellenza del prodotto e di rispetto del territorio che appartengono alla nostra storia.

 

Una strada segnata, la sua.
In realtà, pur essendo cresciuta in una famiglia di imprenditori in un settore così bello ed emozionante, ho avuto grande libertà di scelta. I miei genitori hanno lasciato che prendessi le mie decisioni in totale autonomia. Tra l’altro, entrare in un’azienda di famiglia non deve essere a mio avviso un passo scontato: si deve trattare di una scelta personale e discrezionale, anche da parte dell’azienda, che deve ritenere la persona adeguata in termini di competenze e motivazione. Proprio per questo motivo, abbiamo codificato dei “patti di famiglia” che definiscono i criteri di ingresso in azienda dei familiari con ruoli operativi: si può ereditare un’azienda, ma non necessariamente la capacità di gestirla. 

 

Il suo percorso professionale è stato tutt’altro che convenzionale.
Ho studiato Economia pensando che sarebbe stata una preparazione utile per un eventuale ingresso in Ferrari, ma sempre con un grande interesse verso il tema del sociale e del no-profit. Per questo, durante l’università ho fatto esperienze in ambito di cooperazione internazionale, come quella presso l’Unicef a New York. Quando mi sono laureata sono entrata in consulenza, ma dopo un paio di anni ho vinto un concorso per entrare nelle Nazioni Unite e sono partita per l’Africa alla volta del Niger, un paese poverissimo nel cuore del Sahel, nel Sahara meridionale. Il contratto era di un anno, ma sono rimasta un anno in più e poi un altro anno ancora l’ho trascorso in Uganda, lavorando con una organizzazione non governativa per sostenere le popolazioni del nord del Paese martoriate da un conflitto ventennale. 

 

Dal volontariato all’azienda di famiglia: com’è andata?
Nel 2004, a seguito delle telefonate di mio zio Gino, e complici il forte legame con la mia famiglia e la mia terra, oltre che la mia passione per il mondo del vino, ho deciso di tornare in Italia e di accogliere l’invito della mia famiglia a entrare in azienda. E’ stata fin da subito un’avventura entusiasmante in cui non mi sono mai sentita sminuita o discriminata né perché giovane, né perché donna. Piuttosto, alcune difficoltà le ho avute successivamente, nel tentativo di coniugare al meglio il mio ruolo di mamma con quello aziendale, perché riuscire a dare il 100% su entrambi i fronti non è facile, e il senso di colpa è sempre in agguato.

 

Lavoro e famiglia, spesso è complicato.
Ho tre figli: Lisa, 14 anni, Laura, 12, e Martino, 8 anni, e considero la maternità la più grande gioia della mia vita. Ho avuto la fortuna di condividere questo viaggio con un marito che crede fortemente nella parità di genere, quindi fin da subito abbiamo suddiviso i compiti di gestione della famiglia senza problemi. Anzi, è stato lui a un certo punto a fare un piccolo passo indietro dal punto di vista professionale affinché io potessi dedicarmi al lavoro con l’impegno che il mio ruolo richiede e tutt'ora considera la nostra organizzazione familiare una straordinaria opportunità per stare accanto e veder crescere i nostri figli. Se ho potuto dare continuità al mio impegno in azienda è stato grazie al lavoro di squadra, se così lo posso definire, con mio marito ovviamente, ma anche con i nonni e con mia madre in particolare, la cui presenza è stata molto importante.  

 

Quando le persone vengono a visitare la cantina cosa colpisce maggiormente?
Direi che il massimo stupore è scoprire quanto lavoro vi sia dietro una bottiglia, che a volte può richiedere anche 20 anni da quando si pianta un vigneto a quando si stappa la bottiglia. Sono soprattutto i tempi che sorprendono perché rendono anche comprensibile quanta differenza ci sia, ad esempio, tra un Trentodoc affinato secondo il metodo classico ed altre tipologie di vino, la cui produzione è più rapida ed anche più semplice da un punto di vista tecnico.  

 

So che il tema della sostenibilità le sta particolarmente a cuore.
Per noi la cultura della sostenibilità non è una moda, ma qualcosa di fortemente sentito da anni, e che non riguarda solo l’aspetto ambientale, ma comprende l’attenzione ai collaboratori e alla comunità. Crediamo fortemente che ogni azienda non debba limitarsi a creare valore per gli azionisti, ma abbia una forte responsabilità sociale e ambientale. Tutti i nostri vigneti sono certificati Biodiversity Friend dal 2015 e biologici dal 2017. Al centro dell’attività agricola è posto il concetto stesso di fertilità naturale del terreno, che prevede anche il recupero di pratiche agronomiche tradizionali. La cultura della sostenibilità è stata inoltre condivisa con gli oltre 600 viticoltori che conferiscono le proprie uve alle Cantine Ferrari, attraverso un processo di formazione da parte dei nostri agronomi: qualità dell’uva, salute del coltivatore e rispetto dell’ambiente sono infatti i capisaldi del protocollo “Il vigneto Ferrari – per una viticoltura di montagna sostenibile e salubre” basato su norme rigorose e metodi sostenibili, fra cui l’eliminazione di diserbanti, acaridi e concimi di sintesi. 

 

Il suo spumante preferito.
Se devo proprio scegliere, opto per il Ferrari Perlé, un Trentodoc millesimato affinato almeno cinque anni sui propri lieviti. E’ una bollicina versatile negli abbinamenti e perfetta per molte occasioni: ideale in una cena di gala, sa essere assolutamente adatta anche a un contesto informale. 

 

Il premio che l’ha resa più orgogliosa?
Aver vinto per ben quattro volte il titolo di Produttore dell’Anno a “The Champagne & Sparkling Wine World Championships”, il campionato del mondo delle bollicine che si tiene ogni anno a Londra su iniziativa di Tom Stevenson, uno dei massimi esperti mondiali di Champagne. Risultare vittoriosi a livello internazionale, anche rispetto a prestigiose maison de Champagne è stata una enorme soddisfazione e un’ulteriore conferma dell’eccellenza del Made in Italy nel mondo.

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