Dal rilancio della Fiat 500 alla "Renaulution", ora è vicino al vertice di Kering dove guiderebbe Gucci e altri marchi del lusso mondiale. Una carriera costruita trasformando le crisi in opportunità, parlando cinque lingue e saltando da un Paese all'altro
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"Arriva un momento nella vita in cui si sa che il lavoro è concluso". Con queste parole Luca de Meo ha annunciato le sue dimissioni da CEO di Renault, lasciando dopo cinque anni un'azienda completamente trasformata per una nuova sfida nel lusso: guidare Kering, il colosso francese che controlla Gucci, Bottega Veneta e Yves Saint Laurent.
È la mossa finale di una carriera costruita saltando da un settore all'altro, da un Paese all'altro, sempre con la stessa filosofia: "Il mio trucco è stato sempre quello di diventare migliore in tutto ciò che gli altri magari non si aspettano da un italiano: più puntuale di un tedesco, più disciplinato di un giapponese, più resistente al Maotai di un dirigente cinese".
La storia di de Meo inizia nel 1967 a Milano, ma la sua formazione è quella di un cittadino del mondo che non ha mai vissuto più di sette anni nella stessa città. A pochi mesi dalla nascita si trasferisce con la famiglia all'estero, un nomadismo che diventerà il tratto distintivo della sua carriera.
Il momento che cambia tutto avviene in Costa d'Avorio nel 1973. Il padre gestisce una concessionaria Lancia ad Abidjan e durante il Rally Bandama il piccolo Luca, sei anni, incontra il pilota della squadra ufficiale Lancia Arnaldo Cavallari. L'anno successivo, nel 1974, Cavallari torna e porta il bambino a fare un giro sulla sua Lancia Fulvia HF. Da quel momento, alla domanda "che vuoi fare da grande?", de Meo ha sempre risposto: "Automobili".
Dopo il liceo scientifico a Pescara, dove vivono tuttora i genitori, de Meo si laurea in economia alla Bocconi nel 1991 con una tesi su Business ethics, una delle prime in Italia su questo tema. È significativo che il futuro manager abbia scelto fin dall'università di coniugare successo economico e responsabilità sociale.
È de Meo l'architetto del successo della nuova Fiat 500, lanciata nel 2007 con una campagna rivoluzionaria che include il sito interattivo "500 Wants You". Il 4 luglio 2007 mobilita tutta Torino per la "notte bianca" della presentazione: grandi feste tra i Murazzi e il Valentino, uno show curato da Marco Balich e la diretta su Canale 5 per il "lancio" - letteralmente - della vettura dall'alto del Lingotto.
Il modello diventa l'icona della rinascita Fiat, vendendo oltre 3 milioni di esemplari e "salvando" letteralmente l'azienda. Quando passa a guidare Alfa Romeo, al Castello Sforzesco di Milano per la presentazione della MiTo, Montezemolo e Marchionne, pur presenti all'evento, gli lasciano interamente la scena. Un riconoscimento del suo talento comunicativo che nel 2013 gli varrà un case study dedicato ad Harvard.
Ma nel 2009 accade l'impensabile: de Meo, considerato da tutti il naturale successore di Marchionne, lascia Fiat. Le cronache parlano di troppe limitazioni alle sue ambizioni, soprattutto nel campo sportivo. "Voleva portare Abarth nel WRC", raccontano i bene informati, "ma in Fiat non c'era intenzione di investire nel rilancio del marchio".
Il "tradimento" si trasforma in opportunità. De Meo approda in Volkswagen come direttore marketing, imparando il tedesco a quarant'anni. Nel 2012 entra nel board di Audi, dove rimane fino al 2015 gestendo anche Lamborghini e Ducati.
Ma è in Spagna, alla guida di SEAT dal 2015 al 2020, che de Meo dimostra tutto il suo talento. Eredita un marchio in difficoltà che vendeva appena 400mila auto nel 2015 e lo trasforma in una realtà dinamica: nel 2019 SEAT registra 574.100 vetture vendute, un record assoluto.
Il segreto? Una strategia copiata dal suo periodo Fiat: riprendere il nome Cupra di alcuni vecchi modelli storici e trasformarlo nel brand premium e sportivo della casa, proprio come aveva fatto con Abarth per Fiat negli anni torinesi. Inoltre introduce una gamma completa di SUV - Ateca, Arona e Tarraco - in un mercato dove SEAT non aveva mai avuto presenza.
I risultati convincono Volkswagen ad assegnare progressivamente a SEAT la produzione dell'Audi Q3 nello stabilimento catalano di Martorell e la gestione di tutte le attività del gruppo in Nord Africa.
Nel 2020 arriva la sfida più grande: salvare Renault. L'azienda francese è in ginocchio, con perdite per 8 miliardi di euro e la reputazione macchiata dallo scandalo Ghosn. De Meo presenta "Renaulution", un piano in tre fasi: Resurrezione, Rinnovamento e Rivoluzione.
I risultati parlano chiaro: in due anni e mezzo Renault passa dalle perdite miliardarie a un utile di quasi un miliardo di euro. Il margine operativo sale dal 2,8% al 5,6%. La gamma viene razionalizzata, puntando su qualità e redditività invece che sui volumi.
"Quando sono arrivato, l'azienda perdeva 8 miliardi", racconta de Meo. "Oggi i risultati sono i migliori della nostra storia. Abbiamo creato un team solido e un'organizzazione agile".
De Meo è un manager che sa raccontare, trasformando concetti complessi in immagini immediate. La sua comunicazione non è mai banale: quando deve spiegare la trasformazione dell'industria automobilistica ricorre alla metafora sportiva. "L'automotive era uno sport singolo, domani sarà come le Olimpiadi", dice per far capire che non basta più eccellere nella produzione di auto, ma bisogna "imparare a gareggiare anche nel mondo delle auto elettriche, dei servizi e dell'economia circolare".
È lo stesso approccio che usa per denunciare l'ingenuità europea di fronte alla concorrenza globale: "Tutti i Paesi del mondo che hanno un'industria automobilistica si organizzano per proteggere il loro mercato, tranne l'Europa". Una frase che rivela la sua frustrazione per un continente che secondo lui gioca con regole diverse rispetto a Cina e Stati Uniti.
Quando Tesla scatena la guerra dei prezzi sull'elettrico, de Meo non usa giri di parole: "I movimenti erratici a cui ci ha abituato Musk sono, in ultima analisi, distruttori di valore". Non è solo una critica al competitor americano, ma l'espressione di una filosofia aziendale precisa: "L'azienda deve fare sì profitto, ma deve anche essere etica". Una lezione appresa forse proprio dalla tesi di laurea, una delle prime in Italia sul tema della business ethics.
Chi lavora con de Meo lo descrive come "estroverso, semplice, dalla battuta pronta, umano anche nei rapporti". Tifa Juventus in modo manifesto, veste casual, ascolta musica a tutto volume in macchina. L'auto dei suoi sogni? Una Ferrari 250GTO.
La sua vita è un continuo viaggiare: "Per ammissione della madre, originaria di Locorotondo, Luca non ha mai vissuto più di 7 anni in una stessa città", racconta chi lo conosce bene. Condividono il primato Milano, dove ha frequentato l'Università, e Torino dove ha lavorato in Fiat. È cittadino onorario di Locorotondo, la deliziosa cittadina pugliese della Valle d'Itria, e ha persino convinto Audi a sponsorizzare il "Viva, Festival di musica elettronica" del paese natale della madre.
Nel 2011 ha pubblicato per Marsilio il libro "Da 0 a 500" con presentazione di Massimo Gramellini, mentre Harvard gli ha dedicato un case study nel 2013. Ha ricevuto il titolo di Commendatore della Repubblica Italiana nel 2015 e nel 2023 è stato nominato "la figura più influente dell'industria automobilistica globale".
Ora, a 58 anni, de Meo è pronto per la sfida più ambiziosa: lasciare l'automotive per il lusso. L'approdo in Kering come CEO rappresenta un cambio di settore radicale ma coerente con la sua filosofia di manager-trasformatore.
"Lascio un'azienda profondamente trasformata, pronta per il futuro", ha dichiarato annunciando le dimissioni da Renault. "Ora voglio mettere la mia esperienza al servizio di nuovi settori e intraprendere nuove avventure".
François-Henri Pinault lo ha scelto per rilanciare i marchi Kering, dalla Gucci in difficoltà agli altri gioielli del portafoglio. Una missione che ricorda quella vissuta con Marchionne a Torino: trasformare la crisi in opportunità, il declino in rinascita. L'allievo, ancora una volta, è pronto a superare il maestro.