un fenomeno in aumento

Da Taylor Mega a Bianca Balti, sempre più donne scelgono il social freezing: ecco cos'è e perché si sta diffondendo anche tra le non vip

La crioconservazione degli ovociti potrebbe essere l'ultima frontiera della maternità: una pratica in crescita alla quale si ricorre per diversi motivi: dalla mancanza di un rapporto stabile alla carriera, dalla salute alla non autosufficienza economica

04 Nov 2025 - 14:28
 © Tgcom24

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Le prime a rompere il tabù della crioconservazione degli ovuli, ovvero il social freezing, sono state le donne del mondo dello spettacolo: Taylor Mega, Bianca Balti, Ramona Badescu, Kristen Stewart, le sorelle Kardashian, Rita Ora, solo per citarne alcune. In particolare dopo la pandemia, e soprattutto in America, ha iniziato a prendere piede una tendenza, o meglio una necessità, al passo con quanto sta accadendo all’interno della società. Spesso si preferisce pensare più alla carriera che alla costruzione di una famiglia o ci sono malattie debilitanti che impediscono la gravidanza o semplicemente non si è ancora trovata la persona giusta. E se quando si desidera avere figli è troppo tardi? Ecco il social freezing o egg freezing, che permette di avere un paracadute nel caso in cui si fosse impossibilitati ad avere figli, per svariati motivi. Ma l'età fertile è un tema che riguarda tutte le donne: ecco perché sempre più persone non famose, anche in Italia, stanno ricorrendo alla pratica della crioconservazione degli ovociti. Forse una nuova frontiera della maternità che potrebbe arginare, soprattutto in Italia, il drastico calo delle nascite.

Che cos'è il social freezing e come funziona -  Il social freezing è la crioconservazione degli ovociti (uova) per scopi sociali, cioè per preservare la fertilità femminile e posticipare una gravidanza. Le donne ricorrono a questa procedura, che avviene in età fertile (idealmente prima dei 35 anni), per motivi professionali, personali o economici, in attesa di una maggiore stabilità per avere un figlio. Il processo include la stimolazione ovarica, il prelievo degli ovociti in sedazione e il loro congelamento in azoto liquido a -196 gradi. Si inizia con una visita medica per valutare la storia clinica della paziente e si eseguono esami per controllare la riserva ovarica, la salute generale e la sicurezza della stimolazione. Poi si passa alla fase ormonale. La paziente assume farmaci per iniezioni sottocutanee per circa due settimane, per stimolare le ovaie a produrre più ovociti. Infine il prelievo. Una volta che gli ovociti sono maturi, vengono prelevati tramite un intervento chirurgico in sala operatoria, eseguito in sedazione leggera. Una volta prelevati gli ovociti c'è l'ultimo step, la crioconservazione. Gli ovociti prelevati e maturati vengono congelati e conservati a temperature bassissime.

Dall'America all'Italia - Diffusa da decenni negli Usa (utilizzata nel 2023 da oltre 40mila donne), è in aumento anche in Italia, dove è prevista dal 2009 nel sistema sanitario per le donne che devono sottoporsi a chemioterapie, radioterapie e trattamenti che indeboliscono la riserva ovarica. Per tutte le altre la crioconservazione per ragioni "sociali" costa dai 3mila ai 4mila euro. Solo la Regione Puglia offre tale contributo economico alle donne sotto un certo reddito (legge regionale n.42 del 31 dicembre 2024). Un dato è certo: se le aspettative di vita sono aumentate, l'età fertile non è stata al passo e il tempo biologico non coincide con quello sociale. Da qui l'esigenza di medici e pazienti di prendere di petto l'argomento, specie quando la riserva ovarica di una donna è limitata e questo può verificarsi anche prima dei 35 anni.

Un trend in crescita - Non esistono a oggi dati certi ma i principali centri di Procreazione medicalmente assistita registrano un'impennata della domanda. Un trend in crescita confermato anche da Carlo Alviggi, presidente eletto della Società italiana di fertilità e sterilità (Sifes) e medicina della riproduzione, e responsabile della Medicina e riproduzione del Pma dell'università Federico II di Napoli.

I limiti - In Italia non c'è una normativa nel pubblico, dove è previsto il congelamento preventivo solo per motivazioni mediche, dunque, per pazienti oncologiche o affette da altre patologie cronico degenerative. La legge non copre economicamente il congelamento preventivo per motivazioni socioeconomiche ma non lo proibisce nel privato. E poi c'è un problema di risultato. "La resa dello scongelamento degli ovociti non è altissima - spiega Alviggi al Messaggero - non deve mai passare l'idea che io mi sto congelando una gravidanza, le probabilità di ottenere un bambino non sono certe. E diminuiscono con l'età e in base al numero di ovociti conservati. "Le probabilità di successo in caso di ovociti congelati entro i 35 anni sono tra il 10 e il 40% a seconda del numero di ovociti che si riescono a mettere da parte". Dunque, chance maggiori si hanno a 20 anni, quando un figlio è al massimo un desiderio recondito e appannato dal futuro ancora in divenire. "Ogni ovocita scongelato ha tra il 2 e il 4% di probabilità di portare a una gravidanza - continua il professore - Ne servono una quindicina per avere una probabilità intorno al 50%. Ma nella maggior parte dei casi molte donne non riescono a ottenere tra i 5 e i 10 ovociti in una sola stimolazione.

Più sensibilizzazione - Dunque, se dopo i 35 anni le probabilità di successo scendono e l'ideale sarebbero i 25 anni di età, manca una campagna di sensibilizzazione al tema del social freezing. "Dovremmo cercare di stabilire delle regole - dice ancora Alviggi -  il congelamento degli ovociti potrebbe essere estremamente importante se tutti sistematicamente lo facessero, potrebbe avere una ricaduta. Ma quanto costerebbe? Fondamentale è fare prevenzione, stabilirei un check point intorno ai 30 anni per verificare la riserva di ovociti. In modo da avviare chi ha una riserva ridotta al servizio pubblico".