La band capitanata da Wayne Coyne sarà a giugno a Milano e Bologna
di Luca Freddi© Ufficio stampa
Dopo quattro anni di silenzio sulle scene italiane, i Flaming Lips sono pronti a riaccendere la magia. Il 2026 segna il loro ritorno in Italia. Un ricongiungimento emotivo con una delle band più immaginifiche e sorprendenti della storia del rock contemporaneo. Non una semplice band, ma un'esperienza da vivere. Tra colori abbaglianti e suoni euforici che stravolgono i sensi.
Chi li ha visti dal vivo sa bene cosa aspettarsi: coriandoli che esplodono come temporali di colori, Wayne Coyne che fluttua tra il pubblico in una bolla trasparente, pupazzi giganti, acide e tenere canzoni. Ogni concerto è un piccolo rito collettivo, un invito a lasciarsi andare, a tornare bambini, a credere che la psichedelia possa ancora parlare d’amore e vulnerabilità. Emozioni da vivere o rivivere nelle due le date previste nel nostro Paese: mercoledì 17 giugno al parco della Musica di Milano e giovedì 18 giugno a Bonsai di Bologna.
I Flaming Lips nascono a Oklahoma City nel 1983, in un garage pieno di amplificatori, idee sgangherate e sogni che sembravano troppo grandi per una città così piccola. Wayne Coyne, allora giovane commesso in una catena di fast food, non avrebbe mai immaginato che quella sua intuizione sonora fatta di rumore, poesia e colori sarebbe diventata una delle avventure musicali più iconiche degli ultimi quarant’anni. All’inizio erano una band di alternative rock, sporco e irresistibile. Poi, lentamente, la loro musica ha preso a brillare, a dilatarsi, a trasformarsi in un mondo intero: una miscela unica di psichedelia, dolcezza cosmica, fragilità umana e teatralità visionaria. I Flaming Lips non hanno mai inseguito le mode ma le hanno sempre attraversate a modo loro, con innocenza e follia, con una devozione quasi mistica al potere dell’immaginazione.
In quarant’anni di carriera, i Flaming Lips hanno attraversato mille forme senza perdere mai il loro nucleo: un’umanità vulnerabile, colorata, commovente. Dal caotico "Transmissions from the Satellite Heart" (1993) che li ha fatti conoscere al grande pubblico, grazie alla hit “She Don’t Use Jelly”, passando per uno dei capolavori assoluti degli anni 90, "The Soft Bulletin" (1999) e per l'opera pop psichedelica "Yoshimi Battles the Pink Robots" (2002). Fino agli ultimi "The Terror" (2013), un ipnotico viaggio nel buio, e il ritorno alla tenerezza, "American Head" (2020).