Al Piccolo/Grassi di Milano

Emma Dante porta in scena la tragica ritualità di un femminicidio in "L'angelo del focolare"

In prima ssoluta dall'11 al 30 novembre. La recita del 25 novembre sarà dedicata alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

10 Nov 2025 - 15:53
 © Masiar Pasquali

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Dopo il grande successo di "Re Chicchinella", Emma Dante torna al Piccolo di Milano, al Teatro Grassi, in prima assoluta, dall’11 al 30 novembre, con "L'angelo del focolare" con una recita particolare, quella del 25 novembre, dedicata alla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.  La regista palermitana porta in scena l’atroce ritualità di un femminicidio, che si perpetra all'interno delle mura domestiche, quell'"antro famigliare", anche luogo di tortura (fisica e psicologica), che è "il posto", come spiega la stessa artista, "dove tutto nasce e tutto muore e non c’è un confine tra le due cose".

 

La tragica ironia del titolo

  "L'angelo del focolare, che con vena sarcastica dà il titolo all'opera, non ha quindi quasi nulla a che fare con quell'immaginario dolce, melenso e candido della donna “tutta casa e famiglia”. La protagonista dello spettacolo di Emma Dante, la Moglie, proprio tra quelle mura domestiche, di cui lei è ironicamente l"angelo", vive, si occupa della casa, dei figli e muore, ogni giorno, con una ritualità quasi religiosa, vittima della violenza del Marito, ma anche di quella del "focolare" stesso, simbolo di una società patriarcale e coercitiva e ottusa. 

© Masiar Pasquali

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Reiterazione del femminicidio  "Nello spettacolo si racconta il divario evidente tra le donne che si prendono cura della casa e dei figli – sono, appunto, gli angeli del focolare – e gli uomini che utilizzano la casa per farne la palestra muscolare del proprio ego: in casa si pompano i muscoli per poi esibirsi in pubblico", spiega la regista.  
Un divario accettato da tutti e reso "normale" dalla ritualità con cui si compie. Ed è proprio questo il terreno fertile in cui la violenza dell'uomo sulla donna, di un Marito sulla Moglie, si trasforma in un femminicidio.

© Masiar Pasquali

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Normalità e ritualità della violenza domestica

 Sul palco l’uomo uccide la donna, spaccandole la testa con un ferro da stiro. La donna giace a terra, morta, ma la sua morte non è sufficiente: nessuno le crede. Come un angelo del focolare imprigionato, la donna non può sottrarsi a un destino di morte e abusi: sarà costretta ad alzarsi e rientrare nella stessa routine, pulendo la casa, occupandosi del lavoro domestico, preparando da mangiare al figlio e al marito, accudendo l’anziana suocera. Ogni mattina, i familiari la trovano morta e non le credono. Ogni mattina lei si rialza, apre la moka, chiusa troppo stretta, e ricomincia a subire la violenza del marito, la depressione del figlio, l’impotenza della suocera che, anziché condannare il figlio brutale e dispotico, lo compatisce. Ogni sera la moglie muore di nuovo, come in un girone dell’inferno in cui la pena non si estingue mai. Nella penombra di una casa addormentata, l’angelo scuote i lembi della vestaglia e prova a volare, ma le è concessa soltanto l’intenzione del volo. "Mi interessava raccontare questo atteggiamento, la cui diretta conseguenza è la prevaricazione del forte sul debole, la prepotenza, la furia che si annida nell’ordito del tessuto domestico. Da questo punto di partenza è scaturito uno spettacolo che racconta la violenza come un fatto assolutamente ordinario, che fa parte del rituale domestico: scuotere la tovaglia per far cadere le briciole dopo aver mangiato è normale come lo schiaffo che la Moglie, la protagonista, riceve dal Marito. Ed è il motivo per cui la donna, nel momento in cui viene uccisa, non viene creduta, ma anzi deve rimettersi in piedi e rientrare nel proprio ruolo al servizio di tutti", racconta Emma Dante. 

Prevaricazione del più forte

  La violenza, sottolinea Emma Dante, "vive, si annida nelle trame del tessuto domestico, non è soltanto un episodio plateale: l'uccisione ne è l'ultima tappa, se vuoi la meno interessante da esplorare. Volevo ragionare su questa palestra della prevaricazione, della prepotenza dei forti sui deboli". Una violenza cui la famiglia si abitua, come si abituano gli spettatori a vedere la Moglie con il volto insanguinato per tutto lo spettacolo: "quelle donne, nelle loro case, vengono tormentate continuamente e finiscono per ritrovarsi piene di ferite che perdurano: è l'insulto di uno stupro, sono i segni delle botte prese per tutta una vita. Allora mi sono detta che, forse, lei doveva rassettare il letto con la faccia sporca di sangue. Ciononostante, alla fine, tutti noi che guardiamo lo spettacolo, con il trascorrere del racconto finiamo per non notare più quel sangue. Ecco, l'atrocità, la cosa peggiore che facciamo", conclude la regista: "E' proprio dimenticarci di quelle ferite".

© Masiar Pasquali

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