Roger Taylor, batterista del gruppo, parla a Tgcom24 del prossimo tour italiano, del rapporto con il nostro Paese e dell'album a cui stanno lavorando con la formazione originale
di Massimo Longoni© Stephanie Pistel
Tra gli appuntamenti musicali di questa estate ci saranno anche i Duran Duran, che tornano in Italia per un tour lungo tutto il Paese dopo la doppia data sold out al Lucca Summer Fest dell'anno scorso. La band inglese sarà protagonista a Milano, Roma (due date al Circo Massimo) e Bari dal 15 al 20 giugno, mentre un'altra data è stata aggiunta pochi giorni fa alla Forte Arena di Santa Margherita di Pula (Cagliari), il 12 luglio: il primo vero e proprio concerto del gruppo in Sardegna (se si esclude un evento privato di qualche anno fa) che rapidamente è andato quasi sold out. I Duran Duran inizieranno il tour europeo il 3 giugno in Finlandia e intanto sono anche impegnati a lavorare su "Reportage", l'album interrotto nel 2007 per l'abbandono di Andy Taylor e che, dopo aver ricucito i rapporti con il chitarrista, sarà pubblicato prossimamente. Di tutto questo abbiamo parlato con Roger Taylor, batterista del gruppo.
Dall'uscita dell'album "Future Past" nel 2021 siete stati lungamente in tour, pur con diverse pause. Che show dobbiamo aspettarci per questa estate?
Non abbiamo ancora iniziato le prove ed è quello il momento in cui mettiamo giù la setlist. Il cuore dello spettacolo sarà quello dell'ultimo anno ma sicuramente non mancheranno delle sorprese. In ogni caso, anche quando uno show è strutturato, ci piace sempre mettere due o tre cose nuove.
Avete oltre 40 anni di carriera sulle spalle. Cosa significa oggi per voi andare in tour? Con quale spirito lo affrontate rispetto al passato?
Lo spirito è quello di sempre, salire sul palco per noi è ancora entusiasmante, amiamo farlo come quando eravamo più giovani. L'unica vera differenza è che dobbiamo prenderla con più calma. Una volta era normale che facessimo quattro concerti consecutivi, un giorno di pausa e poi altri tre concerti. Oggi è impensabile. Guardate i Rolling Stones: loro fanno un concerto, poi un paio di giorni di riposo, poi un altro show e altri giorni off. Ecco, non siamo ancora a quel livello ma sicuramente la dobbiamo prendere con più calma di una volta.
Il vostro rapporto con l'Italia è molto stretto da sempre. Cosa rappresenta per voi?
Ma l'Italia per noi è una seconda casa, ci sentiamo sempre benvenuti. Non so da cosa dipenda questa connessione con l'Italia: forse dal fatto che è un Paese vivace e pieno di sfumature, esattamente come abbiamo sempre provato a essere noi. Abbiamo sempre fatto molta attenzione alla nostra immagine, a come ci vestiamo e a come ci presentiamo e penso che questo abbia contribuito a creare questa forte connessione con il pubblico italiano.
In questi tre anni di tour però la maggior parte dei concerti vi hanno visti protagonisti in grandi arene negli Stati Uniti. Pensi che quello sia il pubblico che vi è rimasto più fedele negli anni?
Anche gli Stati Uniti ci sono stati molto fedeli nel corso degli anni. L'amore più forte nei nostri confronti lo sentiamo negli Stati Uniti, in Italia e ovviamente in Gran Bretagna, dove suoniamo in genere alle O2 Arena di Londra e altre grandi arene. Dicono che una volta che sei diventato grande negli Stati Uniti ci saranno sempre per te, e che se hai avuto una grande hit da loro potrai andare sempre in tour. Sicuramente per noi è stato così.
Nel 2022 siete stati introdotti nella Rock'n'Roll Hall of Fame. La critica non è mai stata tenera nei vostri confronti: cosa ha rappresentato per voi quel traguardo, è stata una rivincita?
© IPA
È vero che la critica non ci ha mai amato particolarmente, soprattutto nei primi anni. Ci hanno visto come una band di ragazzini che stava avendo successo molto rapidamente, hanno visto che avevamo un pubblico molto giovane e penso abbiano avuto un'idea sbagliata di cosa fossero davvero i Duran Duran. Nei nostri primi dischi ci sono canzoni molto profonde, come Tel Aviv, Night Boat, The Chaffeur. Ma hanno guardato il nostro pubblico e hanno pensato che saremmo scomparsi velocemente come eravamo arrivati come molte band giovanili. E invece siamo ancora qui, più di 40 anni dopo, ed è stato fantastico entrare nella Rock'n'Roll Hall of Fame, è un riconoscimento molto importante e prova che siamo qui per restare.
Hai lasciato la band nel 1986 per ritirarti a vita privata, per poi tornare nel 2001, quando c'è stata la reunion della formazione originale. Il tuo stile è cambiato nel corso degli anni?
Non credo sia cambiato più tanto. Sono cresciuto avendo come miti Ginger Baker, Keith Moon e John Bonham, ma il mio stile è sempre stato più essenziale, non devo essere protagonista, con assoli o altro in mezzo a un brano, il ritmo è sempre funzionale alla canzone. Io e John Taylor suoniamo molto insieme, come abbiamo sempre fatto sin dai primi giorni, per avere una sintonia totale, siamo una sezione ritmica molto unita.
Come dev'essere la batteria per "suonare Duran Duran"?
Solida e lineare. Niente di particolarmente elaborato o complicato, l'importante è che la sezione ritmica lavori come un'unità per il bene della canzone. E sopra di tutto ci deve essere il groove, il ritmo. Ma sempre con una certa semplicità.
Avete annunciato di star lavorando a "Reportage", l'album abbandonato nel 2007 quando Andy Taylor è uscito (per la seconda volta) dal gruppo. A che punto siete?
Avevamo iniziato a scrivere e registrare quell'album nel 2005 e avevamo già molto materiale. Al momento stiamo remixando ed editando alcune parti ma la gran parte del lavoro è pronta. Siamo abbastanza sicuri di finirlo entro quest'anno. Siamo molto eccitati all'idea, dentro ci sono alcune canzoni davvero belle. A lungo lo abbiamo considerato il nostro capolavoro perduto.
Nel 2005 avevate iniziato a lavorarci con la produzione di Michael Patterson: chi lo produrrà adesso?
In realtà di quest'ultima fase del lavoro ci occuperemo noi e Joshua Blair, che ha lavorato con noi in tutti i nostri ultimi album e ha prodotto "Dance Macabre". È davvero un ottimo ingegnere del suono. In ogni caso non intendiamo affidarci a un altro produttore, per noi "Reportage" è quasi una fotografia di un nostro momento storico, che per certe situazioni non avevamo potuto completare. Non vogliamo cambiare molto rispetto a quello che era il progetto iniziale.
Proprio in occasione della Rock'n'Roll Hall of Fame Andy Taylor annunciò di essere malato di un cancro alla prostata al quarto stadio. Come sta ora, sta lavorando con voi al completamento del disco?
Tutte le parti di chitarra che aveva registrato all'epoca sono fantastiche, il suo lavoro da quel punto di vista è finito. Però sta bene, sta reagendo positivamente ai trattamenti della nuova cura alla quale è sottoposto da un paio di anni.
Per finire: dopo tanti anni e successi avete ancora un sogno nel cassetto o un obiettivo da raggiungere? Magari headliner a Glastonbury...
Abbiamo fatto tanti concerti meravigliosi e ottenuto così tanti record... Di sogni ne abbiamo realizzati moltissimi. Molto più semplicemente il sogno è quello di continuare così il più a lungo possibile. Abbiamo l'abitudine di prendere le cose di anno in anno. Da parte mia spero che continueremo con la stessa energia che abbiamo sempre avuto.