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Duran Duran, oltre il passato c'è di più: "La musica è una cosa preziosa, crediamo nel futuro"

La band inglese pubblica venerdì "Future Past", quindicesimo album in studio della sua carriera. Tgcom24 ne ha parlato con loro


I Duran Duran pubblicano il nuovo album "Future Past"

Uno sguardo al futuro della musica avendo ben presenti le proprie radici e il proprio passato. E' questo "Future Past", il nuovo album dei Duran Duran che esce in tutto il mondo venerdì 22 ottobre. Un disco realizzato nell'arco di tre anni e fortemente influenzato dal periodo di lockdown. "L'album era praticamente finito a inizio 2020 ma durante il Covid abbiamo capito che ci serviva un lavoro con un significato più profondo - spiega John Taylor -, improvvisamente le canzoni e la musica sono diventate preziose".

 

 

Quando un gruppo si porta dietro una storia tanto lunga, dentro la quale ci sono alti e bassi ma anche un successo tanto clamoroso in un determinato periodo da marchiarlo a fuoco per il resto del suo percorso, il passato rischia di essere un fardello decisamente pesante da portarsi dietro. Tutto sta nel saperlo maneggiare con cura. Cosa che la band di Birmingham ha deciso di fare con "Future Past", senza rimanerne intrappolati. "Probabilmente questo è l'album più autoreferenziale che abbiamo fatto, è molto personale - spiega il tastierista Nick Rhodes -. Ma allo stesso tempo riflette sul passato cercando di guardare al futuro, che è quello che abbiamo sempre cercato di fare musicalmente. C’è un equilibrio tra momenti luminosi e altri più oscuri, che riflette il modo in cui siamo e come viviamo". Simon Le Bon mette l'accento su un altro aspetto. "Questo disco è il riconoscimento a ciò che sono stati i Duran Duran - afferma -. Prendete un pezzo come 'Anniversary'. E' di fatto una versione moderna dei Duran Duran che conoscevate negli anni 80. E d’altra parte ovviamente guardiamo al futuro. Noi crediamo al futuro della musica, al futuro della razza umana". Che "Anniversary" sia un omaggio a se stessi lo dimostra anche il video appena uscito in cui il gruppo partecipa a un mega party in un castello, zeppo di vip, dalla Regina di Inghilterra ad Elton John (tutti sosia), e di riferimenti e citazioni della storia della band. 

 

Ma il presente è "Future Past", un album nato in un periodo storico unico. "A inizio 2020 sentivamo che l'album era praticamente completo ed eravamo pronti per un'uscita in estate, ma quando il Covid ha iniziato a diffondersi e tutti ci siamo trovati chiusi nelle nostre case abbiamo un po' perso i contatti: in quel momento la musica non era esattamente la nostra priorità, ognuno di noi cercava di cavarsela con la propria condizione di isolamento - racconta John Taylor -. Ci siamo ritrovati poi per registrare la cover di 'Five Years' per il tributo a David Bowie. E credo che quella situazione abbia in qualche modo settato il tono che dovevamo assumere negli ultimi ritocchi per finire al disco. Ritocchi per modo di dire perché probabilmente abbiamo lavorato più negli ultimi 5 mesi che nell’anno e mezzo precedente. Durante il Covid abbiamo capito che ci serviva un lavoro con un significato più profondo, improvvisamente le canzoni e la musica sono diventate così preziose". 

 

 

Prodotto da Erol Alkan, con l'aggiunta di Mark Ronson per una traccia ("Wing") e di un mostro sacro come Giorgio Moroder per altre due ("Beautiful Lies" e "Tonight United"), l'album è un deciso spostamento stilistico rispetto al precedente "Paper Gods". "Per alcuni versi i nostri album sono definiti dalle collaborazioni - sottolinea John Taylor -. Noi quattro abbiamo un'energia ben definita quando entriamo in studio, ognuno di noi ha il proprio stile che ha sviluppato nel corso degli anni. Per questo guardiamo a possibili collaboratori per dare una forma nuova al nostro stile, per mescolare un po' le cose e non ripeterci". Tra gli ospiti presenti in "Future Past" ci sono la cantante svedese Tove Lo, la rapper londinese Ivorian Doll, la punk band femminile della Chai e Mike Garson, storico pianista di David Bowie che regala il suo inconfondibile tocco a "Falling", che chiude il disco. Ma la collaborazione più importante nel ridefinire le coordinate musicali della band è stata quella con Graham Coxon. L'ex chitarrista dei Blur ha composto con il gruppo quasi tutti i pezzi, non limitandosi al ruoli di ospite esecutore. "Avere Graham con noi sin dal primo giorno è stato probabilmente la cosa più importante dal punto di vista sonoro - conferma il bassista -. Il sound dei Duran Duran è un ecosistema estremamente fragile, se non abbiamo qualcuno sul lato sinistro della formazione, con una chitarra in mano, con una voce forte, l'equilibrio del sound traballa, e questo è quello che fa la maggior differenza con 'Paper Gods'".

 

 

Quello con Coxon è stato un incontro tanto fortuito quanto fortunato. "Ho avuto modo di conoscerlo in maniera piuttosto casuale durante un panel su David Bowie - spiega Nick Rhodes -. Ci siamo subito trovati bene e in qualche modo simili. Credo che la cosa che lo contraddistingua è che si tratta di un chitarrista unico. Ci sono tanti bravi chitarristi della sua generazione ma non ce ne siano molti così inventivi, innovativi e tecnicamente preparati in modo da essere capaci di suonare funk, rock o cose più melodiche e raffinate. Graham si è rivelato la soluzione perfetta. E' stato di grande ispirazione sentire di nuovo quell’elettricità nella stanza, cosa che non capitava da quando c'era Warren Cuccurullo. Con Graham è cambiato il modo di scrivere, di assegnare gli spazi nelle canzoni e l'energia complessiva. Averlo in sala con noi ha fatto reagire tutti in modo diverso. E' stato divertente avere a che fare con qualcuno in grado di produrre suoni pazzeschi: ha una pedaliera che vive di vita propria e a volte non capivo se certi suoni venissero dai miei synth o dalla sua chitarra…". 

 

Per anni definiti, anche in modo un po' sprezzante, "pop", oggi i Duran che musica fanno? "Per me la differenza tra pop, rock e dance music non è così chiara, dipende tutto dalla qualità delle canzoni, che è quello a cui  abbiamo sempre guardato - risponde Nick Rhodes -. Canzoni come 'The Chauffeur' o la nuova 'Falling' sono più atmosferiche e dark, mentre 'Tonight United' o 'Rio' sono allegre e festaiole. Credo che la gente cerchi sempre di mettere gli artisti in categorie. Noi non rientriamo in questo schema. Basta sentire il nuovo album: dove metti 'More Joy'? O 'Falling', che è praticamente jazz, mentre 'Tonight United' è dance. Attraversiamo talmente tanti generi che non ci definirei pop. A meno che non si parli di 'pop culture', che è qualcosa a cui abbiamo sempre guardato come punto di riferimento". 

 

Quello che non è cambiato in 40 anni di carriera è il pregiudizio che ha spesso accompagnato la band, i cui meriti artistici sono stati costantemente messi in secondo piano rispetto al fenomeno mediatico. Ma Le Bon non sembra preoccuparsene, anzi... "Sin dai primi momenti noi siamo stati molto popolari tra le teenager e questo ha fatto sì che gran parte della comunità musicale ci guardasse dall'alto in basso perché l'opinione delle teenager era considerata di scarsissimo valore - dice -. Quello che possiamo dire oggi è che probabilmente invece era l’opinione più importante che ci fosse".   

 

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