Nell'agosto 2019 Open Arms chiese di far sbarcare i migranti soccorsi in mare. Matteo Salvini, allora ministro dell'Interno, chiuse i porti. I giudici di primo grado gli hanno dato ragione
Era il 2019. La nave Open Arms chiedeva di far sbarcare in Italia i 147 migranti salvati in mare in tre diverse operazioni nel Canale di Sicilia, l'1, il 2 e il 9 agosto. L'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini negava il cosiddetto "Porto sicuro". E per questo è andato a processo, con le accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio. La sentenza di assoluzione per Salvini è arrivata dal Tribunale di Palermo il 20 dicembre 2024. Il 19 giugno 2025 i giudici hanno depositato le 272 pagine che contengono le motivazioni della loro sentenza.
Secondo i giudici, i migranti non erano in pericolo di vita. E questo non giustificava un intervento immediato: "Invero", scrivono nelle motivazioni, "lo Stato italiano, inizialmente, col decreto dell'1 agosto 2019 si era limitato a interdire l'accesso ad Open Arms (che peraltro in quel momento si trovava, in acque internazionali, a oltre 50 miglia dalle coste italiane) nelle acque territoriali, senza con ciò respingerla verso Paesi nei quali i migranti avrebbero corso il rischio di subire i pregiudizi alla propria vita (in tesi, verso la Libia), confidando sul fatto che i Paesi direttamente responsabili (Spagna e Malta), ove i migranti non avrebbero corso rischi, avrebbero potuto accogliere i migranti". In sintesi, l’Italia non era obbligata a concedere il Porto sicuro, né ad accogliere la nave Open Arms, né a coordinare nessuno dei tre eventi Safe and rescue della ong spagnola.
"Può con sicurezza escludersi", continuano i giudici, "che lo Stato italiano avesse respinto i migranti (e tra essi i rifugiati, coloro i quali avrebbero avuto diritto di asilo e coloro che avrebbero potuto correre il rischio effettivo di subire una violazione dei propri diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti) verso una nazione in cui sussista un ragionevole rischio di subire un pregiudizio alla propria vita, alla libertà, ovvero all'integrità psicofisica. La Spagna, e non l'Italia, era tenuta a tutelare i diritti delle persone a bordo e, dunque, in linea di principio, anche a fornire l'approdo in un Place of safety (Porto sicuro)".
Nelle motivazioni della sentenza, i giudici scrivono di essere arrivati a tali conclusioni sulla base di alcune considerazioni "che definiscono il naturale profilo centrale assunto dalla Spagna nella vicenda (a dispetto di una artificiosa chiamata in causa dell'Italia)". Il centro di coordinamento e soccorso marittimo della Spagna aveva effettivamente "operato, sin da subito, un sia pur minimo coordinamento da primo contatto, quale quello diretto a orientare la nave nella individuazione degli Stati responsabili (o almeno quelli che aveva ritenuto responsabili) per la zona del sinistro, prima la Tunisia e poi Malta, mettendo in contatto l'imbarcazione con le rispettive autorità competenti".
Fin da subito, Malta, "nel declinare la propria responsabilità per i primi due eventi di salvataggio", continuano i giudici, "aveva chiaramente indicato la Spagna (Stato di bandiera) quale unica autorità che avrebbe dovuto assistere il natante nella prosecuzione delle operazioni". E ancora: "Sia pure dopo diversi giorni, la Spagna aveva finalmente concesso il Pos, esortando la barca a recarsi ad Algeciras e poi nel più vicino porto spagnolo rispetto alla sua posizione (Maiorca), non potendo più disconoscere, a quel punto, vieppiù pressata da stringenti motivazioni umanitarie, la propria giuridica competenza sull'evento. Infine, quando Open Arms aveva rappresentato l'impossibilità di raggiungere il Pos indicatogli, la Spagna aveva disposto l'invio della nave della Marina militare Audaz per prelevare i migranti soccorsi e condurli in Spagna (organizzando una soluzione alternativa per raggiungere il Place of Safety)".
Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare adottate sotto l’egida dell’Imo (Organizzazione marittima internazionale) e ratificate dall’Italia affermano che gli Stati devono "fornire un luogo sicuro o assicurare che tale luogo venga fornito" ai naufraghi. E viene definito come Porto sicuro (o Place of Safety, Pos) il luogo in cui si considerano terminate le operazioni di salvataggio. In detto luogo, i sopravvissuti non si trovano più esposti a un rischio per la loro vita, possono accedere a beni e servizi (cibo e acqua, cure mediche) e, nel caso di migranti, a tutte le procedure per poter ottenere un passaggio verso la destinazione finale o la più vicina, per esempio potendo presentare richiesta di asilo. Può considerarsi Pos anche una nave o una piattaforma petrolifera, in attesa di una successiva destinazione.
La prima a commentare le motivazioni dei giudici di Palermo è stata l'avvocato di Matteo Salvini, Giulia Bongiorno: "La sentenza, con motivazione tecnicamente ineccepibile, riconosce l'assoluta correttezza della condotta del ministro Matteo Salvini. Non esisteva infatti alcun obbligo di far sbarcare Open Arms in Italia. La sentenza va anche oltre e precisa che chi ha sbagliato è stata proprio Open Arms nel non cercare altre soluzioni". I pm valutano l'eventualità di fare ricorso in appello contro la sentenza di assoluzione.